domenica 3 aprile 2011

La legge 328: una riforma mancata o un’opportunità da incrementare.

La legge 328: una riforma mancata o un’opportunità da incrementare.
Torino, 23 marzo 2011

La Bottega del Possibile, nell’ambito di un’ampia azione di formazione e di divulgazione ha organizzato questa giornata di studio e approfondimento.
I lavori coordinati da Salvatore Rao, vicepresidente de “La bottega del Possibile” hanno preso avvio con una prolusione della Presidente dell’associazione Mariena Scassellati Sforzolini Galetti che ha avuto il pregio di emozionare con ciò predisponendo tutti a una maggior attenzione.
Nell’introduzione Rao pone l’accento sul rischio di un’involuzione che non porta a un nuovo modello di welfare ma rischia di avviarci ad un ritorno all’assistenzialismo.. dice che non si può rinunciare a promuovere il cambiamento anche perché un nuovo welfare è funzionale anche all’implementazione di un auspicabile modello di sviluppo. Afferma che la 328 ha messo in agenda una nuova attenzione al territorio a cui viene dato un compito ricostruttivo e oggi questo assume una maggiore importanza visto che  si va verso il federalismo municipale. Definisce la 328 un argine per contrastare la destrutturazione delle politiche sociali perché rappresenta ancora un impianto motivante..
Presenta i due relatori Nerina Dirindin e Cristiano Gori la prima per una carrellata storica della legge fino alle difficoltà di oggi e il secondo per fare il punto sulla situazione attuale del welfare italiano.
Stare zitti non va bene! Esordisce la Dirindin! L’Italia  vanta una lunga storia di buone leggi non applicate! Un esempio per tutti: la legge di riforma della sanità che passa in Parlamento con voto quasi unanime, vota contro solo  il PLI, poi, poco tempo dopo  il ministero viene Assegnato ad un ministro liberale.
Ora comunque la situazione ci impone di considerare i contenuti  e di riconoscere nell’affermazione dei “Livelli Essenziali” la questione principale. Bisogna assicurare il cosa, il come e a chi erogare affinché sia chiaro che ciò che viene dato alle persone non è carità ma diritto.
Riferendosi al libro bianco del welfare del ministro Sacconi la Dirindin ricorda che chiude invocando la carità e giudica questo molto negativo. Operativamente oggi vengono previsti molti trasferimenti monetari e pochi servizi, ma di fronte alla “solitudine” a che vale un “bonus”?
La relatrice pone inoltre l’accento su un elenco di difficoltà di cui sottolineiamo come particolarmente rilevanti:
  • debolezza delle Amministrazioni Pubbliche
  • frammentazione delle responsabilità
  • instabilità politica
  • diffusa incultura che considera il welfare semplicemente una spesa
  • mancata definizione dei livelli essenziali
  • disponibilità finanziarie inadeguate e indisponibilità di servizi
  • integrazione socio-sanitaria troppo faticosa, per autoreferenzialità anche e ancor più del sociale

Occorre trovare il gli strumenti per alzare la voce.
 Bisogna essere ambiziosi e affermare:
  • che  welfare è un fatto di coesione e sviluppo e, se ci crediamo, non è un costo da contenere
  • che bisogna privilegiare i servizi rispetto ai trasferimenti
  • che bisogna dare valore al lavoro di cura perché è uno dei lavori più importanti
  • che bisogna valorizzarlo con la formazione
  • che bisogna passare da un concetto assistenzialistico al riconoscimento di diritti
  • che bisogna, infine, ridare valore alla vecchiaia combattendo la diffusione di quell’immagine di giovanilismo forzato e di consumatore che viene sempre più attribuita all’uomo.
In conclusione la Dirindin auspica l’avvento di un sistema organizzato di diffusione di queste idee, perché, dice, “ se alziamo la voce in modo isolato non possiamo sperare che gli amministratori pubblici ci ascoltino”
Dopo la Dirindin prende la parola Cristiano Gori  il quale esordisce ricordando che ci sono analogie tra le politiche per i non auto, per la prima infanzia, per la povertà e la disoccupazione. Certo riconosce tuttavia l’evidenza che il fondo per le politiche sociali è in calo mentre è in crescita la spesa per le indennità di accompagnamento. In realtà quindi la spesa per il sociale è in crescita, ma il punto cruciale è il modello. È il contrario di quello che si sperava, c’è un incremento della spesa pubblica in uno schema familista. Per l’indennità di accompagnamento non c’è una scheda di valutazione nazionale e così sono stati chiesti e ottenuti soldi semplicemente per pagare le badanti. Nel 2012 si vedranno gravi effetti per i tagli e ciò farà si che il problema del welfare diventi interessante per l’opinione pubblica. Il sociale non ha forza e manca un sistema di rappresentanza; il Governo parte con tagli lineari e si ferma dove trova resistenza.
Remo Siza apre il suo intervento affermando che tutto deve essere fatto risalire al “dualismo del welfare italiano”. L’effetto di u progeto dipende fortemente dal contesto, dipende dalle caratteristiche del programma,dal comportamento degli esecutori e dalla reazione dei gruppi.. tornando al dualismo del welfare: da un lato un programma statale con eccesso di trasferimento monetario frammentato e dall’altro accesso universalistico sulla base di bisogni. C’è tra questi atteggiamenti un conflitto sotterraneo e il welfare viene “tirato” da una parte o dall’altra. Ricorda che gli interventi sociale “creano dipendenza” è necessario  sviluppare la capacità autonoma e il senso di responsabilità. Il problema va risolto e se la sussidiarietà si attiva si può anche avere un welfare leggero senza bisogno dell’intervento pubblico.
Questi gli interventi dei tre docenti che hanno relazionato al convegno nelle parti che più mi hanno colpito.

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