venerdì 22 luglio 2011

Enti Gestori di servizi socio assistenziali e qualità attesa dall’utenza Strumenti di valutazione e di comunicazione tra forma e innovazione

Gli enti gestori


L’attività socio assistenziale viene svolta in Italia da molti e diversi operatori; l’assistenza residenziale agli anziani, in particolare, è gestita da enti pubblici di 1° livello, da ASP derivate dalla trasformazione delle IPAB o dalle stesse IPAB ancor oggi in via di trasformazione, da cooperative sociali e da imprese private. Questo dato induce ad una riflessione sugli aspetti determinanti per la qualità che possono essere influenzati anche dalla struttura giuridica e operativa del gestore. In breve si possono evidenziare le differenze cruciali. I responsabili gestionali e operativi dei gestori pubblici sono selezionati dalla politica locale e gestiscono gli enti secondo regole tipiche di quell’ambiente. Godono di alcuni vantaggi per la loro vicinanza con i centri strategici e decisionali della sanità e della politica in generale, ma soffrono delle diverse sindromi che influiscono negativamente sull’efficienza ed efficacia nel sistema pubblico. Si rimanda ad altra sede un esame in dettaglio limitandoci a considerare che nel caso degli enti pubblici spesso si manifesta il grande limite del particolarismo, del localismo e dell’autoreferenzialità a livello di piccolo territorio o di singola azienda erogatrice. Le cooperative da questo punto di vista hanno un significativo vantaggio in quanto sono più grandi, normalmente impiegano soci e dipendenti nell’ordine della migliaia e sono impegnate in diversi ambiti territoriali anche in regioni diverse e quindi sottoposti a legislazioni e a politiche sociali differenti. Il mondo della cooperazione specie nel centro nord è in piena evoluzione e sta del tutto abbandonando il precedente ruolo che avevano svolto in passato che si potrebbe definire di supplenza a copertura parziale delle inefficienze degli enti pubblici. Le carte vincenti sono senza dubbio l’efficienza di gestione prevalentemente basata sulla flessibilità e la competenza progettuale diversificata acquisita grazie alla presenza, sotto la stessa unità direzionale, di attività svolte in regimi giuridici e organizzativi diversi. Non mancano i difetti legati soprattutto alla minor efficacia dell’azione di un personale flessibile ma a volte poco legato a una zona determinata e all’assenza di una visione politica del territorio di riferimento. È vero che hanno flessibilità sul personale e quindi efficienza gestionale, ma hanno personale che corre quindi svolge un’azione, da questo punto di vista, che perde un po’ in qualità. Se da un lato hanno una cultura aperta, perché operano in mondi diversificati e possono godere di ibridazione tecnica e culturale, dall’altro sono o possono essere poco radicati.
Ciò influisce sulla qualità nella parte più sottile del servizio, la parte meno tecnica e più relazionale. Non sempre l’efficienza, ovviamente utile ai fini della sostenibilità economica, va a braccetto con l’efficacia operativa o semplicemente con la qualità complessiva del lavoro. Rispetto al pubblico sono più efficienti e pagano qualcosa in qualità del servizio almeno in generale, anche se esempi di eccellenza ce ne sono. Nel vissuto psicologico collettivo hanno, come il pubblico, un punto di forza nell’assenza di scopo di lucro che determina una teorica impossibilità di creare un arricchimento personale a qualcuno. A nessuno sfugge, tuttavia, che anche le coop non possono non guadagnare sia per mantenere in vita e far crescere le organizzazioni sia per fare concretamente gli investimenti necessari. Questo, però, a ben guardare accomuna tutti i gestori, compreso quelli di natura pubblica che non potranno più, in futuro, contare su contributi per pareggiare i bilanci e supporti economici rilevanti per gli investimenti.
Qualità, pregiudizi e privato profit
Ciò di cui s’è detto sopra, appartiene in parte alla categoria dei pregiudizi: il pubblico è vittima del pregiudizio dell’inefficienza e la cooperazione di quello della scarsa qualità relazionale.
Poi viene il privato profit. In questo caso il pregiudizio è ben noto e si concretizza nel pericolo che per tutti è di per sé implicito nel fine di lucro ed è sempre ritenuto inaccettabile nei servizi di assistenza alle persone. Le aziende del privato profit sono di solito delle società di capitali e fanno questo mestiere per dare opportuna remunerazione al capitale. Fin qui sarebbe accettabile se non si ritenesse anche che esiste una certa sete di ricchezza generalizzata da cui discende che le aziende profit, per guadagnare, si impegnano costantemente a prelevare dall’utente tutto quel che è possibile non per il bene dell’ospite ma per l’arricchimento personale del gestore.
Smontare questo pregiudizio è difficile se non con un’azione ben coordinata sulle norme di controllo e sulla struttura dei sistemi di accreditamento. Nella realtà, anche se non si escludono casi che giustificano la nascita del suddetto pregiudizio, il privato commerciale è estremamente differenziato, infatti si va dalle piccole o piccolissime aziende familiari con un solo punto di produzione alle grandi e grandissime che operano su scala nazionale o addirittura internazionale. È un po’ meno facile definire le caratteristiche di questo settore dal punto di vista della qualità perché sfugge alle classificazioni e non si presenta in modo omogeneo e non solo per le dimensioni. Ci sono realtà che potremmo definire di fascia alta che offrono servizi con retta totalmente a carico dell’utenza così come ci sono realtà di fascia media accreditate dal sistema pubblico o altre che offrono un servizio che potremmo definire appena sufficiente con retta a carico dell’utenza. Quindi si osservano diversi livelli di qualità e non si può generalizzare un giudizio di alcun genere sulla qualità.
Regole omogenee di valutazione
Non è pensabile che strutture così diverse per impianto gestionale e struttura decisionale possano offrire servizi omogenei e confrontabili, per qualità e prezzo, in assenza di regole di omogeneizzazione dell’attività. Lo Stato, e per esso in particolare le Regioni, hanno ben evidente nella loro mission il compito di assicurare i cittadini una qualità minima dei servizi e un controllo efficace dei fattori di qualità. Quindi hanno un compito importante per la loro stessa natura istituzionale, ma in secondo luogo, entro determinati limiti, lo Stato offre un sostegno agli utenti con forme diverse da regione a regione ma, in ogni caso, offrendo un contributo. Per questo non può non porre livelli minimi di accettabilità dei parametri di qualità che siano misurabili con l’utilizzo di specifici indicatori e adeguate unità di misura degli elementi valutati. La Regione, è ovvio, non può erogare contribuzioni per sostenere un servizio di cui non conosce gli estremi, specialmente in un tempo come il nostro in cui c’è ormai consapevolezza diffusa che le risorse destinate a questo ramo del sociosanitario non sono sufficienti a fronteggiare la domanda crescente per quantità e qualità.
Quindi da queste osservazioni si deduce che esiste una forte necessità di creare e gestire strumenti di valutazione. Strumenti atti, cioè, a determinare il valore dei servizi.
Ma non solo la Regione è interessata alla misurazione perché non è l’unico soggetto a pagare e soprattutto perché non possono essere esclusi dall’informazione gli utenti, i parenti e tutti i portatori di interesse. C’è stata una trasformazione dei servizi e, si deve dire, anche una loro crescita, quindi, da un lato c’è l’esigenza di continuare ad erogare in modo efficiente prestazioni efficaci e dall’altro c’è la necessità di fornire adeguate prove, possibilmente documentate, che dimostrino il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati e comunicati.
In questo contesto, peraltro in costante evoluzione, è in atto uno studio e diversi esempi applicativi sugli indicatori che costituiscono uno strumento importante di monitoraggio e valutazione utile sia ai decisori della Pubblica Amministrazione sia ai gestori e sia, infine, anche utenti e stakeholder. Ma non sempre queste azioni di monitoraggio attraverso indicatori sono agevoli, per la diversità tipologica dei destinatari e per il fatto che l’attività socio assistenziale è un prodotto multidimensionale che difficilmente può essere inquadrato in uno schema semplice.
Si capisce chiaramente che non si può ottenere alcuna informazione significativa da un solo o pochi indicatori, ma è necessario puntare su un sistema che sia il più ampio possibile. In ogni modo si deve costruire un sistema coerente, sviluppato sulla base di esperienza così da escludere alcuni difetti tipici di interpretazione e tale da consentire una valutazione del problema globale e in termini evolutivi dopo aver offerto un’opportuna preparazione a di chi è interessato ad una lettura rigorosa e non emotiva dei dati.
Accreditamento
Lo strumento di valutazione della qualità dei servizi socio assistenziali è l’accreditamento. Sia esso istituzionale, o di eccellenza o sia la certificazione di qualità in base alle ISO 9000 o ad atre norme. Le ISO, trattandosi di norme generali dotate di validazione a livello internazionale in tutti i campi, hanno raggiunto un elevato grado di affidabilità e sono state in molti casi elemento di ispirazione anche per gli estensori delle norme dell’accreditamento istituzionale. La norma ISO 9000 “specifica i requisiti di un sistema di gestione per la qualità” quindi attribuisce all’organizzazione un metodo per dimostrare la propria capacità a fornire con regolarità un prodotto che soddisfi le specifiche cogenti e quelle richieste dall’utente. Nel capitolo dedicato a Misurazione,analisi e miglioramento, oltre a trattare l’audit interno, sottolinea la necessità di monitoraggio dei processi per dimostrare la capacità degli stessi di ottenere i risultati pianificati. Prevede inoltre il monitoraggio e misurazione del prodotto per l’evidenza della conformità ai criteri di accettazione.
L’Accreditamento istituzionale costituisce un accertamento della conformità dei servizi e delle strutture alle norme di qualità e funge da sistema di qualificazione e verifica per attribuire o confermare la facoltà di essere fornitori del servizio assistenziale sovvenzionato dallo Stato[1]. A questo scopo vengono posti degli indicatori tesi a valutare diversi elementi quali la personalizzazione degli interventi, la formazione del personale, il coinvolgimento degli utenti e famiglie nel processo assistenziale. Le capacità organizzative generali del soggetto 
erogatore, l’esistenza di un efficace sistema di autovalutazione e capacità di rendicontazione dei risultati.
Accountability
La più recente saggistica sui temi gestionali propone l’abbinamento dei concetti di rendicontazione e di accoutability. Il termine inglese si traduce con responsabilità, ma anche con attendibilità e spiegabilità il che ci mostra la differenza con responsability che si traduce puramente e semplicemente con responsabilità. Dunque il termine accountability presuppone un senso di responsabilità che si traduce nella necessità che il comportamento aziendale debba essere giudicato sulla base della capacità di generare valore per la comunità, di misurare e rendere riconoscibile tale valore e di rendere conto alla collettività delle proprie azioni e degli effetti prodotti.[2]
Le regole di misurazione e valutazione, come si diceva sopra devono essere coerenti e trasparenti, ora si può aggiungere che devono discendere da propositi condivisi tra enti gestori e Regione affinché l’esplicitazione delle azioni e degli effetti prodotti possa dare garanzie reali agli utenti e ai cittadini in generale. Accountability significa non accontentarsi di un’assunzione di responsabilità formale ma orientarsi ad un paradigma dei rapporti tra fornitore e utente basato sulla rendicontazione.
Sul piano operativo si può quindi sostenere che in una logica di accountability si richiede un sistema esplicito di regole e principi, come le norme di Accreditamento, in base ai quali gli enti gestori redigono un Rendiconto annuale da rendere pubblico. Ma non basta, anche la Regione è chiamata a rendere conto ai diversi soggetti portatori di interessi, sulle sue responsabilità di pianificazione e controllo che non dovranno peccare di incoerenza rispetto alla quantità di risorse messe a disposizione per il sostegno del settore.
In conclusione, al di là della terminologia anglosassone, quel che occorre è un certo sviluppo della cultura del controllo e della comunicazione. Deve essere superata la concezione ispettiva del pubblico come controllore fiscale e deve essere inaugurata una nuova comunicazione tesa non a confondere utenza e stakeholder ma a rendere evidenti i dati che riguardano la produzione del servizio da un punto di vista strutturale e di processo nonché, infine, degli esiti tecnici e di outcome a livello sociale e di singolo utente. Solo quando gli enti gestori, pubblici o privati, accreditati o no, sapranno redigere opportuni strumenti di rendicontazione pubblici e comprensibili, sarà possibile superare gli stereotipi e i pregiudizi con beneficio per tutti, in primis per i cittadini poi anche per quei gestori che si impegnano e a cui verranno riconosciuti gli sforzi indipendentemente dalla loro natura giuridica.

luglio 2011


[1] Per intervento dello Stato deve intendersi intervento di un ente portatore, a livello locale, di un interesse pubblico garantito dalle leggi dello Stato.
[2] Enrico Guarini – Università Bocconi. La rendicontazione e l’accoutability delle Regioni: confini stato dell’arte, prospettive. http://www.regione.piemonte.it/oss_riforma/dwd/inter_guarini.pdf