lunedì 27 giugno 2011

Assistenza e indicatori. Misurare l’attività tra necessità e “pericoli”

Abstract
La misurazione è una necessità e gli indicatori indispensabili purché previsti e utilizzati nell’ambito di un sistema. Gli indicatori di struttura non misurano l’efficacia, quelli di processo misurano la qualità dell’assistenza e sono utili per il controllo delle interfacce. Gli esiti sono influenzati da variabili indipendenti.
Premessa
La misurazione è una necessità. L’attività socio assistenziale viene svolta in Italia da molti e diversi operatori; l’assistenza residenziale agli anziani, in particolare, è gestita da enti pubblici di 1° livello, da ASP derivate dalla trasformazione delle IPAB o dalle stesse IPAB ancor oggi in via di trasformazione, da cooperative sociali e da imprese private. Già questo dato preliminarmente pone un certo rilievo sul problema, infatti, non è pensabile che strutture così diverse per impianto gestionale e struttura decisionale possa offrire servizi omogenei e confrontabili, per qualità e prezzo, in assenza di regole di omogeneizzazione dell’attività. Lo Stato, e per esso in particolare le Regioni, assicura l’assistenza entro determinati limiti e parametri e non può non pretendere strumenti di valutazione, unità di misura degli elementi valutati, nonché livelli minimi di accettabilità dei vari parametri di qualità. La Regione, è ovvio, non può erogare contribuzioni per sostenere un servizio di cui non conosce gli estremi, specialmente in un tempo come il nostro in cui si comincia a diffondere una certa consapevolezza che le risorse destinate a questo ramo del sociosanitario non sono più adeguate alla domanda crescente per quantità e qualità.
Ma non solo la Regione è interessata alla misurazione perché non è l’unico soggetto a pagare e soprattutto perché non possono essere esclusi dall’informazione gli utenti, i parenti e tutti i portatori di interesse. C’è stata una trasformazione dei servizi e, si deve dire, anche una loro crescita, quindi, da un lato c’è l’esigenza di continuare ad erogare in modo efficiente prestazioni efficaci e dall’altro c’è la necessità di fornire adeguate prove, possibilmente documentate, che dimostrino il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati e comunicati.
Valutazione: un sistema coerente
In questo contesto, peraltro in costante evoluzione, gli indicatori costituiscono uno strumento importante perché consentono monitoraggio e valutazione e chi è chiamato ad assumere decisioni può meglio identificare i problemi e stabilire obiettivi ragionevoli verificando, poi, la corrispondenza tra i risultati attesi e quelli ottenuti. Allo stesso modo attraverso l’osservazione dei dati di monitoraggio anche utenti e stakeholder possono svolgere analoga azione purché i dati siano disponibili ma anche e soprattutto esposti in modo da essere comprensibili a tutti.
Sulla base di queste considerazioni si può comprendere che non sempre queste azioni di monitoraggio attraverso indicatori sono tecnicamente fattibili o agevoli, sia perché diverse sono le funzioni e diversi i destinatari, oltretutto con esigenze divergenti, sia perché l’attività socio assistenziale è un prodotto multidimensionale e difficilmente può essere inquadrata in uno schema semplice in un quadro in cui risorse e prestazioni non godono, di fatto, di un rapporto stabile e determinato.
Il servizio di socio assistenza è costituito da numerose attività collegate e per di più svolte da organizzazioni diverse così che possono coesistere, in modo naturale e del tutto involontario ma determinante, diversi segmenti di attività con significative differenze qualitative dipendenti dalla presenza anche contestuale di livelli di efficienza e di efficacia anche molto diversi.
Si capisce chiaramente che non si può ottenere alcuna informazione significativa da un solo o pochi indicatori, ma è necessario puntare su un sistema rigoroso e ampio al tempo stesso, anzi il più ampio possibile. In ogni modo si deve costruire un sistema coerente, sviluppato sulla base di esperienza così da escludere alcuni difetti tipici di interpretazione e tale da consentire una valutazione del problema globale e in termini evolutivi dopo aver offerto un’opportuna preparazione a di chi è interessato ad una lettura rigorosa e non emotiva dei dati.
Senza queste premesse non c’è indicatore che indichi qualcosa di utile!
Indicatori/unità di misura
È chiaro che bisogna aspirare ad uno strumento di misura esteso e complesso. Si deve considerare che è riferito ad una realtà non semplicemente rappresentata da una sua dimensione fisica. Essa non è l’unico elemento ma si accompagna ad altri delicati fattori, determinanti per la qualità, che attengono alla componente relazionale del lavoro.
Tendenzialmente si comincia a parlare degli indicatori prima che di strumento di valutazione e ciò può rappresentare un ulteriore limite che condiziona spesso l’interpretazione. Si può giungere a conclusioni errate assegnando ai singoli indicatori una rilevanza sproporzionata rispetto allo strumento di valutazione nel suo insieme.
Si può comprendere che sia così, perché è nell’esperienza umana che si fonda questa sorta di prelazione. L’uomo reagisce agli stimoli, si allontana dal fuoco quando sente bruciare la pelle, chiude gli occhi quando il sole abbaglia. Brucia la pelle = indicatore (misura il grado di sopportabilità ed evidenzia il pericolo); allontanamento dal fuoco = valutazione, giudizio e azione di difesa. Quindi quando si pensa di costruire uno strumento di valutazione spesso si pensa subito proprio agli indicatori, non come strumento complesso per una valutazione, ma più semplicemente come unità di misura di un fenomeno tenuto sotto controllo. Se sia meglio pensare a uno strumento di misura che comprenda in modo integrato gli indicatori o se sia possibile partire dalla ricerca sugli indicatori per poi costruire uno strumento di valutazione è un po’ come chiedersi se ci sia stato prima l’uovo o la gallina…. Si può benissimo partire dagli indicatori sapendo però che devono esser definiti e studiati in modo contestuale e che insieme devono costituire un sistema. Diversamente sarà impossibile farne un uso corretto: indicatori mal utilizzati non portano informazioni efficaci.

Accreditamento
Lo strumento di valutazione della qualità dei servizi socio assistenziali è l’accreditamento. Sia esso istituzionale, o l’accreditamento di eccellenza o la certificazione di qualità in base alle ISO 9000 o ad atre norme. Partiamo dalle ISO che trattandosi di norme assolutamente generali e dotate di pluriennale validazione internazionale su tutti i campi dell’agire umano hanno raggiunto un elevato grado di affidabilità e sono state in molti casi elemento di ispirazione anche per gli estensori delle norme dell’accreditamento istituzionale. La norma ISO 9000 “specifica i requisiti di un sistema di gestione per la qualità” quindi attribuisce all’organizzazione un metodo per dimostrare la propria capacità a fornire con regolarità un prodotto che soddisfi le specifiche cogenti e quelle richieste dall’utente. Nel capitolo dedicato a Misurazione,analisi e miglioramento, oltre a trattare l’audit interno, sottolinea la necessità di monitoraggio dei processi per dimostrare la capacità degli stessi di ottenere i risultati pianificati. Prevede inoltre il monitoraggio e misurazione del prodotto per l’evidenza della conformità ai criteri di accettazione.
L’Accreditamento (istituzionale) costituisce un accertamento della conformità dei servizi e delle strutture alle norme di qualità e funge da sistema di qualificazione e verifica per attribuire o confermare la facoltà di essere fornitori del servizio assistenziale sovvenzionato dallo Stato[1]. A questo scopo vengono posti degli indicatori tesi a valutare diversi elementi quali la personalizzazione degli interventi, la formazione del personale, il coinvolgimento degli utenti e famiglie nel processo assistenziale. Le capacità organizzative generali del soggetto erogatore, l’esistenza di un efficace sistema di autovalutazione e capacità di rendicontazione dei risultati.
Indicatori
Gli indicatori sono la caratteristica quantitativa o qualitativa di un oggetto o di un fenomeno che consente di dare giudizi su di esso. Devono possedere i requisiti di appropriatezza, comprensibilità, misurabilità e significatività.
La prima domanda che ci si deve porre quindi è cosa misurare. Si devono misurare la struttura, i processi e gli esiti. La struttura in quanto rappresentativa dell’elemento di base che può rappresentare il discrimine della possibilità o meno di fare. La misurazione dei processi indica come vengono utilizzate le risorse e appare fondamentale questo approccio, perché a nulla varrebbe essere dotati dei migliori standard strutturali se poi i processi del lavoro assistenziali fossero scorretti. L’utilità della misurazione degli esiti è poi di evidente ed immediata comprensione per tutti.
Indicatori di struttura
Riguardano gli ambienti in cui viene erogata l’assistenza unitamente all’organizzazione. Misurano specifiche caratteristiche strutturali o tecnologiche. Esempi di indicatori di struttura sono le dimensioni delle stanze, il rapporto ospiti/bagni, il rapporto ospiti/operatori, la qualificazione degli operatori, l’esistenza di determinate tecnologie come impianti di raffrescamento e/o ricambio di aria o esistenza di un determinato rapporto tra strumenti e ospiti, ad es. numero dei sollevatori disponibili in rapporto al numero degli utenti che ne richiedono l’uso.
Gli indicatori di struttura forniscono una possibile misura dell’efficienza e possono descrivere aspetti non indagati da altre misurazioni che coinvolgono molti processi e che ne sono in qualche caso addirittura il presupposto. D’altro canto non forniscono però indicazioni di efficacia per cui non garantiscono di per sé stessi la qualità del servizio di assistenza.
Questo dato apre un problema per ciò che concerne la lettura dell’indicatore di struttura e le conseguenze che gli organismi di controllo ne possono trarre. Posta l’importanza di tali indicatori in quanto possibile misura dell’efficienza e della potenzialità della struttura nel suo insieme, non si può non rilevare che in qualche caso la lettura formale dei dati di struttura può comportare conseguenze abnormi. Bisogna introdurre nella valutazione la capacità di distinguere tra la situazione attuale e ciò che si può raggiungere in prosieguo. Se una struttura è stabilmente sotto standard rispetto a un determinato indicatore allora deve essere penalizzata, ma se si rilevasse la tendenza a migliorarsi rispetto a detto standard la lettura dell’indicatore dovrebbe essere diversa. Le conseguenze dovrebbero essere riviste nel senso non di una penalizzazione ma di una raccomandazione, e ciò non “per grazia ricevuta” in camera caritatis ma come normale frutto di un metodo di valutazione. È vero che sono i requisiti e quindi gli indicatori più facilmente controllabili, ma ci sono casi in cui sono anche poco significativi e la loro lettura iper-rigorosa può portare a valutazioni distorte.
Dall’esperienza personale di direzione di struttura porto ricordi nefasti di verifiche degli organismi di controllo con esiti penalizzanti per la mancanza di pochi centimetri quadrati che facevano perdere un posto quando tali centimetri dipendevano da una piccola differenza di larghezza della stanza che in sostanza per il suo sviluppo geometrico non impediva gli spostamenti. E in un clima di scarsità di risorse ridurre posti o fare spese di investimento aggiuntive e del tutto inutili non è buona cosa..
Indicatori di processo
Definito il processo come una successione strutturata di attività finalizzate a produrre un risultato che abbia un valore per l’utilizzatore finale, gli indicatori di processo sono quelli che danno informazioni circa il fatto che l’attività ai fini assistenziali si sia svolta o meno in modo appropriato secondo quanto definito in precedenza. Descrivono quello che avviene all’interno della struttura e quindi, in quanto descrittivi di fattori dinamici, danno una rappresentazione più o meno accurata dell’assistenza ricevuta dagli utenti. In sostanza misurano l’appropriatezza in relazione a determinati standard di riferimento e questo è il principale loro vantaggio. Rispetto agli indicatori di esito sono meno o per nulla influenzati dal case-mix, inoltre, identificando le situazioni non appropriate, consentono tempestivi atti rivolti al miglioramento.
Il principale punto debole degli indicatori di processo è che molto difficilmente possono essere ricavati dai sistemi informativi aziendali che inevitabilmente si prestano ad osservazioni semplicemente statiche. In tal modo si evidenzia la necessità di introdurre una nuova cultura sia nella determinazione di standard e indicatori sia nella relativa lettura e valutazioni. Non si potrà raggiungere una buon utilizzo degli standard di processo senza una formazione ai valutatori interni ed esterni affinché non si affidino semplicemente alle cheek list ma utilizzino un forma di audit come ampiamente diffuso in tutti i sistemi di qualità gestiti.
Un altro svantaggio degli indicatori di processo è che, a fronte della loro importanza sostanziale, non sono percepiti nella loro reale rilevanza da utenti e stakeholder.
Indicatori di esito
L’esito è la prestazione o il servizio che si è ottenuto come risultato di un processo. Gli indicatori di esito documentano quindi il risultato del processo assistenziale o una prestazione in sé (come numero di reclami o tempi d’attesa) o una variazione indotta (come mortalità, cadute e simili). Documentano una situazione finale dell’assistenza che ha senso solo se confrontata con obiettivi posti in precedenza che possono essere sia di natura assistenziale in senso stretto come ad esempio una valutazione documentata dei risultati di un PAI, ma anche tali da documentare una modifica di esiti economici (contenimento costi) o umanistici (soddisfazione dell’utente).
La loro forza sta nel fatto che sono di semplice comprensione e soddisfano le esigenze dei vari attori del sistema: decisori, operatori, tecnici, utenti. Ma sono utili solo quando non si riferiscono a fattori per la cui comprensione si richiedono competenze particolari come ad esempio tecniche statistiche per correggere differenze di case mix o altro.
La loro debolezza è che, dopo lunghi tempi d’attesa per garantire attendibilità, alla fine la loro osservazione non consente di risalire ai processi o alle struttura su cui è necessario intervenire per migliorare la performance. Meglio affidarsi ad indicatori di processo anche se i sistemi informativi degli enti gestori e delle strutture di controllo non sono ancora pienamente adeguati alla sfida.
Da qui il percorso do imboccare per l’immediato futuro che è quello di una formazione a tutto campo su questo specifico fronte della qualità.


[1] Per intervento dello Stato deve intendersi intervento di un ente portatore, a livello locale, di un interesse pubblico garantito dalle leggi dello Stato.

venerdì 3 giugno 2011

Veronafiere - Pte-expo 2011. La partecipazione di ANOSS

L'associazione ha preso parte al Pte-expo 2011 di Verona con uno stand (frequentatissimo) e con la realizzazione di due convegni. uno di carattere generale sugli indirizzi attuali del welfare e l'atro sulla figura professionale del Responsabile di nucleo. entrambi i convegni sono stati sviluppati con visioni ampie e dovizia di interventi qualificati ed hanno avuto anche successo di pubblico, specie  quello di taglio pratico e rivolto alle figure operative (oltre 200 iscritti e una partecipazione ancora maggiore per frequentatori della fiera che hanno deciso di partecipare all'ultimo momento) 
Con il convegno di studio “Diritto all’assistenza e compatibilità economica. Verso quale welfare?” l’associazione ANOSS ha inteso affrontare uno dei problemi di maggior impatto sociale oggi. Si tratta di fronteggiare una situazione nuova che mette in evidenza, da un lato una domanda crescente intermini quali quantitativi e dall’altra una sostanziale contrazione delle risorse pubbliche destinate allo scopo dell’assistenza sociosanitaria.
In merito ai due convegni ho risposto ad alcune domande che mi sono state rivolte dalla redazione di Assistenza Anziani.
-       Qual è lo stato dell’arte sulla compatibilità economica rispetto all’assistenza?
Difficile dire a che punto siamo. bisogni sono potenzialmente infiniti e nessun stanziamento sarebbe in teoria mai sufficiente a soddisfarli. Lo Stato risolve col contingentamento delle risorse: non è mai stato varato il “Fondo nazionale per la non autosufficienza” e le regioni fanno quello che possono, però qualche volta hanno un approccio contraddittorio: chiedono agli enti gestori standard elevati poi non garantiscono adeguate risorse con conseguenze evidenti o sui cittadini o sui comuni. Enti locali e aziende di servizio non sempre si capiscono, non sempre sono coerentemente coordinati e l’ottimizzazione dell’impiego delle risorse sfuma.

-       Come migliorare l’attuale situazione? Quali sono gli spunti usciti in tal senso dal Convegno?
Forse occorrono norme nuove e più elastiche. Forse anche i dirigenti delle aziende erogatrici dei servizi devono assumere un atteggiamento diverso. Forse tutti gli operatori devono incominciare ad “amare” di più il loro lavoro, ma soprattutto l’insieme di politica e management del sociale devono far in modo che la cultura del servizio cresca e l’immagine sociale del lavoro di cura assuma quella dimensione e quel ruolo di elevata connotazione etica che lo caratterizza. In sostanza dobbiamo crederci!
  
-       Esistono molteplici e complesse richieste di assistenza a fronte di risorse economiche sempre più limitate: come ovviare a questa problematica?
La domanda cresce e non abbiamo risorse sufficienti. Non disponendo della “bacchetta magica” dobbiamo ingegnarci ad un processo innovativo sia nelle strategie sia nella cultura della pianificazione e controllo. Occorre una forte presa di coscienza della politica e l’investitura ai comuni del ruolo di pianificatore deve diventare sempre più forte. I comuni devono avere una visione strategica che si sviluppa nel tempo, devono smettere di fare “fotografie” della situazione e dichiarare che i servizi offerti sono quelli che sono già presenti sul territorio. Devono essere propulsivi e innovativi chiedendo una maggior autonomia nelle decisioni strategiche e organizzative e proponendo un diverso mix assistenziale. Per questo è necessario un aumento della cultura specifica nei comuni che hanno iniziato da poco ad utilizzare strumenti di questo tipo. Devono imparare a rendere evidente ciò che fanno,. Devono farlo conoscere alla comunità che alla fine possa diventare è la vera responsabile delle scelte.

Nel secondo convegno sulla figura del  “Responsabile di Nucleo” si è parlato di gestione operativa e si è cercato di sviluppare una tecnica comunicativa nuova e connotata da toni vivaci.

- Quali caratteristiche dovrebbe avere un Responsabile di Nucleo?
Oltre ad una buona competenza tecnica si impone la sua capacità di mantenere unito il gruppo, di motivarlo e di contribuire ad un’efficace azione di integrazione professionale. È risaputo che le professioni coinvolte nell’attività socio assistenziale non appartengono tutte allo stesso alveo culturale e ciò comporta diversi problemi a volte per una riconosciuta o presunta superiorità delle professioni sanitarie con difficoltà rispetto al dialogo professionale con le altre figure che, a loro volta, finiscono per arroccarsi su posizioni autoreferenziali. Difficilmente questo problema di comunicazione interna può risolversi autonomamente per buona volontà delle persone, quindi occorre un approccio tecnico all’integrazione e l’individuazione di un soggetto preposto a un’attività di facilitatore. Questo soggetto è secondo noi il “Responsabile di Nucleo”

- Quanto incide la motivazione sulla qualità del lavoro svolto?
Inutile dire che la motivazione è il fulcro di qualunque leva dell’agire umano. Chi non crede in quello che fa produce risultati scarsi e se quello che fa è difficile e prevede la presenza di altri operatori che possono trovarsi in conflitto la motivazione diventa addirittura lo spartiacque tra l’agire per obiettivi e l’agire per compiti senza attenzione alla qualità. Senza integrazione non si può svolgere un buon lavoro assistenziale, ma non ci sarà alcuna integrazione senza motivazione

- Quali gli spunti usciti dal Convegno per mettere realmente l’operatore al centro?
Molti, ma uno è sembrato a tutti fondamentale: lo svolgimento dell’attività di un responsabile di nucleo deve sempre tener conto della condivisione del gruppo o, per dirla con le parole di una Responsabile che ha relazionato: “bisogna avere sempre un piede dentro al gruppo” ed esser propositivi a aperti abbandonando quegli elementi di stile che allontanano dai propri collaboratori.
L’esito positivo e il gradimento dimostrato rispetto a questi temi ci stimola a continuare verso nuovi e ulteriori approfondimenti che non mancheremo di proporre nelle prossime occasioni di pubblico confronto.