Secondo le rilevazioni del CENSIS sulla situazione sociale del Paese al II trimestre 2009, “il mercato del lavoro in Italia ha tendenzialmente retto, o almeno non ha reagito alla crisi peggio di quello di altri Paesi” (Fondazione Censis, “Lavoro, professionalità, rappresentanza” - 43° Rapporto annuale sulla situazione sociale del Paese - dicembre 2009). Fino ad oggi gli effetti negativi determinati dalla cattiva congiuntura si sarebbero riversati esclusivamente sulle componenti meno tutelate del sistema del lavoro, tra cui, appunto “l’ampio bacino del paralavoro”: le “formule occupazionali cresciute a metà strada tra lavoro dipendente ed autonomo, che costituiscono una quota ormai importante del mercato del lavoro”. Si consideri che a giugno 2009 gli atipici erano circa 3 milioni e mezzo di lavoratori e che questi hanno registrato in 12 mesi (tra il 2° trimestre 2008 e il 2° trimestre 2009) una perdita del 4,3%, pari a 162 mila posti di lavoro. Sempre il Censis - su dati Istat - ha rilevato che ad essere maggiormente colpite sono state tutte le diverse forme di lavoro a termine (- 9, 4%), seguite in misura ridotta dalle collaborazioni a progetto ( - 12%) e dalle collaborazioni occasionali (- 19,9%). Per contro, a fronte di settori che hanno visto ridurre sensibilmente i propri livelli occupazionali come l’industria, il turismo e il commercio, ce ne sono alcuni, come i servizi pubblici sociali e alla persona che hanno aumentato il fatturato.
Nello specifico, infatti, secondo una rilevazione del Centro Studi di Legacoop (dati preconsuntivo 2009) il comparto delle cooperative sociali nel 2009 ha continuato a crescere, seppur rallentando, con un aumento di fatturato pari a + 1,85% rispetto al 2008 e un aumento di occupati pari a + 1,10% (fonte: ErmesImprese, gennaio 2010).
Al di là delle dimensioni della precarietà lavorativa, l’elemento che si vuole sottolineare in questa analisi sono le caratteristiche del fenomeno e le sue ripercussioni a livello sociale .
Per alcuni anni, dal Pacchetto Treu alla Legge Biagi, si è registrato in Emilia Romagna un utilizzo per lo più virtuoso del lavoro non standard: in sostanza l’utilizzo di questi contratti favoriva l’ingresso nel mondo del lavoro dei soggetti tradizionalmente più deboli – le donne e i giovani – e dopo un certo lasso di tempo avveniva la stabilizzazione del lavoratore attraverso contratti standard (Istituto Regionale Studi sociali e politici De Gasperi, “Il ricorso ai contratti di lavoro non standard. Un’indagine nella provincia di Bologna “– 2008)
Negli ultimi anni successivi però si è vista la graduale e trasversale diffusione dei contratti di lavoro atipici, sia in settori attraversati da momenti di crisi o da processi di riorganizzazione, sia in settori che invece hanno visto una crescita costante.
In regione, una forte crescita del settore dei servizi alle imprese e alle persone ha proposto modalità organizzative e lavorative nuove, che si intrecciano anche con i processi di esternalizzazione di molti servizi pubblici. Da qui l’aumento al ricorso dei contratti a termine, utilizzati soprattutto per garantire servizi in base all’appalto vinto dalla cooperativa. Oggi il sistema degli appalti ha portato una graduale diminuzione del numero di lavoratori a termine; parallelamente però si registra una generale preoccupazione, legata alle logiche degli appalti pubblici, dell’accreditamento dei servizi sociosanitari e dei lavori a progetto, che determinano un senso di insicurezza anche ai lavoratori assunti a tempo indeterminato: sono i rinnovi degli appalti o l’accreditamento a determinare la continuità dell’impiego; il lavoratore è chiamato a rispondere in termini flessibili per adeguarsi al lavoro e all’utenza ma resta in uno stato psicologico di profonda precarietà.
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