lunedì 21 maggio 2012

BARI - Convegno del 26 maggio

ANOSS Sez. Puglia il 26 maggio presso la sede del CELIPS, ente di formazione operante in Bari, ha realizzato un ottimo convegno dal titolo "La Responsabilità nella cura e assistenza". Si è parlato del problema della responsabilità nei servizi sotto tutti gli aspetti: organizzativi, assistenziali, legali ed etici.
Molto apprezzati gli interventi tutti di eminenti studiosi ed esperti del settore

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Segue una sintesi dell'intervento di Renato Dapero presente all'incontro quale vice presidente nazionale dell'associazione


ANOSS non è nata per scopi di mero interesse momentaneo, è nata, e noi la vogliamo far crescere, a difesa di un’idea di sviluppo della cura del non autosufficiente che mette realmente al centro l’uomo. Sappiamo benissimo che questo punto lo pongono tutti a fondamento dell’azione, ma noi vogliamo fare di più: non limitarci alla pura e semplice affermazione del principio ma costruire questa idea in modo concreto, svolgendo azioni che rendano il principio veramente possibile e attuale. Intendiamo mettere l’uomo al centro quindi intendiamo dare importanza e pari dignità all’anziano/disabile e all’operatore. Tutti gli operatori senza distinzioni e prevalenze perché noi siamo ANOSS Operatori Sociali e Sociosanitari quindi OSS, ma anche medici, infermieri, fisioterapisti, educatori/animatori, dietisti ecc.  Certo l’OSS assume un’importanza fondamentale per noi, in primo luogo per il peso numerico, trattandosi di oltre 340 mila in Italia, poi, e soprattutto, per l’importanza strategica del professionista che più di ogni altro opera ed è vicino al bisogno.
ANOSS si occupa di formazione a tutto campo. Agli OSS ma anche alle altre figure e pone un particolare rilievo alle figure che costituiscono il MIDDLE MANAGEMENT. La ragione è semplice: le figure intermedie sono quelle che più sopportano il peso dell’organizzazione e su di loro poggiano molte delle speranze di buon funzionamento e di efficace assistenza. Devono essere tecnicamente capaci e alo stesso tempo pronte a sopportare gli stress professionali per le responsabilità che in particolare ricadono su di loro. Sono stressate dai loro capi che vogliono il meglio al minor costo e lo sono anche dalle collaboratrici che a volte si sfilano dalle responsabilità o chiedono supporti tecnici. Senza parlare poi del coordinamento, cioè delle competenze necessarie a mantenere unita “la squadra” spesso eterogenea per età, capacità tecniche e cultura generale. 
L’altro argomento fondamentale da trattare è la motivazione. Per ANOSS motivazione e lavoro di squadra sono i due elementi del filo conduttore di ogni corso e costituiscono il fondamento della nostra mission. Sappiamo che il lavoro di cura è difficile e stressante, che spesso sfocia nel burnout, ma siamo anche convinti che sia anche il lavoro più bello per le sue componenti relazionali. È proprio valorizzando questa componente e portando a nudo le emozioni degli operatori che si può trovare la via per un più efficace rapporto tra i due soggetti umani che si confrontano nel delicatissimo rapporto di cura.
La Squadra si prepara
 
Noi intendiamo lottare per una evoluzione positiva della cultura del lavoro partendo dallo studio della situazione attuale . L’Italia è piena di vincoli corporativi che non sono mai stati abbattuti perché nessun partito ne ha veramente avuto l’intenzione. Così all’affacciarsi di una nuova categoria professionale alla soglia della popolarità ecco che la stessa immediatamente pensa di costituire il suo scudo da quello che ritiene siano le invasioni barbariche da parte delle altre funzioni. E inventa o propone la creazione di un albo o di un collegio o di un ordine. Forse l’immagine della professione ne guadagna perché quanto meno si è posta nelle stesse condizioni delle altre storiche, ma succede anche che lo sviluppo della cultura professionale, chiusa in difesa, diventa autoreferenziale. Nelle nostre realtà assistenziali bisogna abbattere i vincoli di vago sapore corporativo: tutti! Bisogna cancellare le rendite di posizione connesse alla storia delle professioni e questo non per cieco ideologismo, ma perché conviene a tutti che non ci siano steccati tra le professioni. Il rispetto per il lavoro dovrà tendere ad una serena interpretazione del concetto di uguaglianza: ognuno deve avere uguale dignità davanti al mondo in quanto lavoratore e in quanto portatore di una cultura professionale specifica. La specificità professionale deve essere un vanto, non per dividere, ma per formare un nuovo e più alto concetto di collaborazione. Questo è integrazione!
A chi si avvicina alla nostra associazione chiediamo anche di essere disponibile a collaborare nella costruzione di una nuova cultura del lavoro che superi le semplificazioni del mero interesse economico, magari da trasferire in compiacimento edonistico. Chiediamo di credere e di impegnarsi verso il principio dell’autorealizzazione. Viviamo in un mondo che ha superato i problemi della sopravvivenza di base, lavoriamo per aver i soldi sufficienti per vivere e per averne un po’ di più da investire. Noi dobbiamo dire basta al desiderio di spendere il di più per conquistare brevi soddisfazioni passeggere. Dobbiamo imparare a guardare avanti. Chiediamo di aiutarci a interrompere quella catena di cecità che si snoda nelle diverse classi sociali e giunge fino a noi. Non dobbiamo lasciarci guidare da chi guarda solo all’interesse particolare di quel momento particolare. Queste sono le guide cieche [1]a cui non dobbiamo affidarci quelli che ci raccontano tutto il bene possibile a parole e ci abbandonano a noi stessi nei fatti; interrompono lo sviluppo del nostro libero pensiero lasciando che le nostre menti si perdano nel magma televisivo. Si, certo, c’è anche un po’ di critica sociale, ma altrimenti come si potrebbe arrivare a una nuova cultura se non ci sforzassimo di essere portatori di un punto di innovazione? E come possiamo sperare che l’innovazione possa affermarsi se non ne prendono coscienza tutti gli strati della popolazione e per la sua parte insostituibile la classe dirigente?
A Keynes, il grande economista del secolo scorso a cui si deve gran parte delle soluzioni per risolvere la grande depressione del ‘29, è attribuito questo aforisma: “La difficoltà non sta nel credere nelle nuove idee ma nel rifuggire dalle vecchie”
In conclusione, l’atteggiamento innovativo è il connotato distintivo della nostra associazione e di questo siamo fieri, certi che faremo per la nostra parte il compito di proporre una nuova linea formativa e di conseguenza operativa in un momento che si fatica a comprendere e in cui tutti hanno bisogno di credere in qualcosa. Offriremo corsi di formazione tradizionali per far si che giovani disoccupati o inoccupati possano trovare modo di esprime le loro aspirazioni, ma offriremo anche forme nuove e diverse per cogliere al meglio il grandioso potenziale umano ed emotivo che veramente potrà fare la differenza nel lavoro di assistenza che ha una componente relazionale determinante.
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[1] La Parabola dei ciechi è un dipinto a tempera su tela (86x154 cm) di Pieter Bruegel, databile al 1568 circa e conservato nel Museo di Capodimonte di Napoli. È firmato in basso a sinistra "BRVEGEL.M.D.LX.VIII.".
La scena raffigura un gruppo di sei ciechi che avanza in fila indiana, ciascuno appoggiandosi sulla spalla dell'altro, lungo una linea obliqua un po' sfasata rispetto al primo piano. Quattro avanzano poggiando una mano o il bastone sul compagno che lo precede, ma il primo già è caduto nel fossato e il secondo lo sta per seguire, trascinando tutti gli altri. Accentuato quindi il senso drammatico, con la rappresentazione contemporanea delle diverse fasi della caduta. Con grande realismo l'artista rappresentò i ciechi con lo sguardo perso nel vuoto e le cavità oculari vuote.
Essi sono simbolo della cecità spirituale umana, che riserva un destino infelice. ( da Wikipedia)

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