domenica 27 settembre 2015

ANOSS Magazine N° 11 - Settembre 2015

EDITORIALE


Vivere e agire nel «qui e ora»
Impariamo dagli antichi ad accettare i nostri limiti di esseri imperfetti



«Non chiedere Leuconoe – non è dato saperlo – che destino gli dei abbiano assegnato a me o a te, e non tentare i calcoli babilonesi. Com’è meglio tollerare ciò che sarà, sia che Giove ci abbia dato ancora tanti inverni sia che questo, che fa infrangere le onde del mar Tirreno sulle opposte scogliere, sia l’ultimo. Sii saggia: purifica il vino e, poiché lo spazio è breve, riduci la lunga speranza. Mentre parliamo il tempo invidioso sarà già fuggito: cogli l’attimo, fidandoti il meno possibile del domani.»
Orazio, Ode XI, Libro I

L’autunno per ANOSS Magazine si apre con la celeberrima ode in cui Orazio invita  Leuconoe – e con lei tutti noi – a godersi il presente, a coltivare il quotidiano. Due sono le ragioni fondamentali per cui il poeta esorta la fanciulla ad abbandonare le grandi speranze, per tornare ad attività semplici e concrete, quale è ad esempio la purificazione del vino. Da un lato, infatti, Orazio riconosce che la vita ha durata breve, che il tempo ci sfugge di mano troppo alla svelta e che, pertanto, è necessario trovare un modo per ovviare a questo inconveniente, prima che sia troppo tardi. Dall’altro lato, poi, esiste il caso: non sappiamo se quest’autunno che stiamo vivendo sia l’ultimo o se ce ne spettino ancora molti; non sappiamo se stiamo camminando verso il nostro ultimo inverno o se, invece, la fine è per noi ancora lontana. Nessuno di noi lo sa con assoluta certezza, quale che sia l’età che ha. Troppo spesso abbiamo difficoltà a riconoscere quanto grande sia il potere che il caso ha sulle nostre vite e, troppo spesso, tendiamo a sotterrare in qualche angolo della nostra coscienza il pensiero che la vita sia breve. Orazio però ci scuote, richiamandoci energicamente alla verità. Ci ricorda che proprio perché il tempo che abbiamo a disposizione è scarso e il potere che abbiamo sugli eventi del mondo è estremamente limitato, è necessario non preoccuparsi del futuro. Ci invita, con Leuconoe, a non affidarci ai «calcoli babilonesi», ovvero – per tradurre l’espressione in chiave moderna – a non stare a sentire gli oroscopi. Non importa che cosa diranno Paolo Fox o Rob Brezsny della mia giornata: importa soltanto che cosa io deciderò di fare per rendere questo giorno migliore, per essere felice anche oggi. La sorte esiste, il mondo è per la gran parte fuori dal nostro controllo: non siamo quegli esseri onnipotenti che credevamo di essere. Ma questa consapevolezza non ci deve rattristare o paralizzare; ci deve piuttosto aiutare a capire cosa è necessario trascurare, e cosa invece merita la nostra attenzione. A dover essere coltivate non sono le «lunghe speranze» in una sorte che comunque procede secondo i propri misteriosi progetti, né le nostre ansie o le nostre manie di controllo del futuro. Un unico e ristretto angolo di possibilità ci è concesso: quello che si nasconde nel «qui ed ora». È al presente che dobbiamo guardare, è solo nell’ora che avviene l’azione. Giorno per giorno, attraverso piccoli passi, rivolgendoci alle cose più quotidiane, costruiremo la nostra felicità, avremo cura di noi e degli altri. L’attimo che dobbiamo cogliere è anche quello in cui si consuma la relazione: il tempo si ferma un istante nella chiacchierata tra Orazio e Leuconoe, e così può avvenire in ogni atto d’amore. La cultura antica, di cui abbiamo qui offerto un esempio, ci invita cioè alla serenità, alla pacata accettazione dei nostri limiti di esseri umani mortali. Gli antichi greci e latini avevano capito meglio di noi il potere della sorte ed esortavano ogni individuo a sopportare con pazienza la quantità di dolore che il destino gli avrebbe riservato, e a ritagliarsi con intelligenza la propria parte di piacere. Ovvero, gli antichi sapevano, meglio di noi, che il dolore è un elemento costitutivo e ineliminabile dell’esistenza. In quanto esseri limitati saremo soggetti al dolore e dovremo sottostare alle leggi cicliche della natura, andando incontro alla morte. Ma accettare la caducità dell’esistenza è l’atto di coraggio necessario per comprendere quella «giusta misura» che ci compete e che non è opportuno oltrepassare, per riuscire a ridurre la nostra precarietà ove possibile, senza velleità. Accogliere il dolore e la fragilità è quel passo che dobbiamo compiere se vogliamo darci un’importante opportunità: quella di godere per davvero della bellezza che ci circonda; e di farlo a partire da oggi, fidandoci il meno possibile del domani.


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