giovedì 26 febbraio 2009

COSTRUZIONE E TRADUZIONE OPERATIVA DEI PIANI ASSISTENZIALI NEI SERVIZI RESIDENZIALI - di Diletta Basso


I Piani Assistenziali Individuali (PAI) fanno ormai parte delle prassi organizzative e documentali delle strutture residenziali per anziani. Le carte dei servizi descrivono come il PAI costituisca uno strumento per la personalizzazione degli interventi, il personale ne conosce perfettamente il significato, ogni persona presa in carico ha il suo piano individualizzato. Un risultato indubbiamente apprezzabile, se confrontato con la situazione di qualche anno fa.Un impulso significativo in questa direzione è stato sicuramente dato dalle normative regionali sull’accreditamento istituzionale, che prevedono, fra i requisiti, la presenza per ogni persona utente di un Piano di Assistenza Individuale corrispondente ai bisogni specifici e, come criterio principale di verifica, la presenza di un documento cartaceo.Tuttavia, se la “tangibilità” del PAI è un requisito necessario per appurarne l’esistenza, non è purtroppo sufficiente per dimostrare l’esistenza di un buon processo di definizione e la sua applicazione operativa.Il PAI dovrebbe infatti rappresentare il risultato di un delicato e complesso lavoro interprofessionale ed il punto di riferimento quotidiano per l’assistenza e la cura della persona da parte di tutti gli attori coinvolti. In altre parole, è un concentrato di molteplici elementi: lavoro di squadra, valutazione multidimensionale, lavoro per obiettivi, comunicazione, formazione continua, procedure e protocolli condivisi e strutturati.Purtroppo, ancora troppo spesso, nelle strutture, i PAI sono identificati esclusivamente con il documento che riporta tale dicitura. Ci si illude che aver riportato “nero su bianco” (quando va bene) i bisogni della persona, gli obiettivi fissati e gli interventi previsti, sia sufficiente perché il tutto si traduca magicamente nell’applicazione operativa.
(Continua)

Nessun commento: