lunedì 15 dicembre 2008
Dalla polemica sulle Province alla sfiducia nella politica, tutto ci invita a prendere iniziative dal basso
(continua)
sabato 13 dicembre 2008
IL DIBATTITO SUL WELFARE SPINGE VERSO UNA RICOSTRUZIONE DELLA CULTURA DIFFUSA
Mancano posti residenziali e l’offerta non soddisfa la domanda già oggi e ancor meno lo potrà fare in futuro, ma i cittadini su questo hanno diritto a una comunicazione chiara.
(continua)
Le Province sono insostituibili.
(continua)
Riforma della scuola: al liceo Gioia di Piacenza la rivolta dei cento
Oltre cento docenti del liceo Gioia (dove complessivamente ne operano circa 130) scrivono una pagina nuova ed importante della protesta di cui la riforma Gelmini costituisce il più eclatante obiettivo. Documento sintomo di un malessere giunto al limite, pare di capire, in cui l'esercito di docenti piacentini, che propone la costituzione all'interno del Gioia di un comitato misto "in difesa della scuola pubblica"..(continua)
In questo periodo è interessante anche uno sguardo alla scuola.
lunedì 24 novembre 2008
ANOSS al Festival dei diritti umani di Parma
nella Sala Conferenze del Comune di Parma si è svolta la tavola rotonda promossa dall’associazione avente il titolo:
“Operatori socio-sanitari italiani e stranieri e qualità della vita. Quali diritti alla base delle relazioni e del rapporto costi/qualità”
La presenza di un pubblico attento ha valorizzato la tavola rotonda che non ha deluso le attese quanto a professionalità e vivacità dei relatori.
Sanità e politica: separarsi è difficile
L’occasione (Gennaio 2008) era data da un disegno di legge col quale il Governo si proponeva di porre un freno all’ingerenza della politica nella nomina dei direttori e dei primari nelle Aziende Sanitarie provocando reazioni dure delle Regioni che rivendicavano l’autonomia sancita dalla riforma costituzionale del 2001. Effettivamente le Regioni non possono rinunciare a presidiare politicamente la sanità in quanto è il servizio nel quale esse spendono circa il 70 % del loro budget. Da questo concludono che i direttori devono essere scelti con uno stretto rapporto fiduciario. Nella proposta del Governo si riconosce questo, però si chiede che le nomine devono essere fatte solo tra chi è tecnicamente preparato.
Non si può non ricordare che esistono mille possibilità di addomesticare i meccanismi di selezione e anche di inventarne di nuovi che, pur nel rispetto formale della strategia di selezione su base tecnica, consentono e promuovono in realtà la più ampia discrezionalità politica!
Dunque né le Regioni né il Governo avevano allora e non hanno adesso alcuna volontà di abbandonare l’idea del controllo diretto dell’attività gestionale della sanità. Spesso si assiste a dibattiti surreali nel senso che non incidono affatto sulla realtà e si limitano a definire dei percorsi formali che di solito peggiorano, se fosse possibile, la situazione.
Per quanto ci possa sembrare incredibile ancor oggi nelle posizioni elevate della politica (e quindi in quelle posizioni che influiscono pesantemente nella cultura dei servizi) si arriva, si può dire, ad umiliare il concetto di “Politica della Salute” limitandosi ad identificarlo con la “gestione dell’apparato” preposto alla gestione dei servizi per la salute. C’è, come qualcuno ha detto nei commenti all’articolo citato, una situazione di lottizzazione strutturale che si riproduce e attraversa tutti i campi della politica da destra a sinistra e in ogni parte d’Italia.
Una conclusione.
È ovvio che la politica non può disinteressarsi della salute, e questo non solo perché è un costo elevato per lo Stato e in alcune zone è anche un fondamentale produttore di reddito, ma soprattutto perché la salute e, più in generale, il benessere dei cittadini è un dovere fondamentale di chi ci governa ai vari livelli.
Quello che è mancato fin’ora, però, è una vera capacità di programmazione e controllo, anch’essa sempre citata o millantata ma per la quale non è mai stata fatta una seria pratica formazione, indispensabile, a partire dai politici. Non se ne è vista la necessità perché non serve a perpetuare “la Casta”. Un’attività di controllo sugli apparati produttivi imporrebbe una nuova comunicazione ai cittadini dove ognuno si dovrebbe prendere le responsabilità del caso e i politici dovrebbero mettere in gioco la loro rielezione sulla base dei successi o degli insuccessi della gestioni degli apparati da loro scelti.
Vedremo mai una cosa del genere?
Speriamo di poter andare a votare, un giorno, non spinti da suggestioni o immersi nel “sonno televisivo” ma in base ai risultati documentati sulla qualità di vita che i governanti ci hanno garantito.
martedì 11 novembre 2008
IL DIBATTITO SUL WELFARE SPINGE VERSO UNA RICOSTRUZIONE DELLA CULTURA DIFFUSA
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IL DIBATTITO SUL WELFARE
lunedì 20 ottobre 2008
Dibattito sul welfare locale
La prima è la denuncia dell’aumento della lista d’attesa per entrare in casa protetta più che raddoppiata rispetto allo scorso anno che Luigi Rabuffi, presidente della Casa Protetta Vittorio Emanuele, presenta con forza e con evidente passione. Mette in evidenza la mancanza di risposta e sottolinea che gli anziani in attesa sono curati a domicilio dai famigliari e dalle badanti. “Non c’è niente di male” dice “ ma se fanno domanda per avere un posto in casa protetta significa che la ritengono una soluzione migliore e sarebbero più soddisfatti se quel posto ce l’avessero”. Lo stesso Rabuffi ricorda che le case protette di Piacenza non soddisfano la richiesta costringendo ad adottare la soluzione domiciliare che però non sempre è percorribile e spesso non è agevole né opportuna né per l’anziano né per la famiglia.
La seconda notizia riferita da “Libertà” riguarda un intervento di Giovanna Palladini, assessore ai servizi sociali del comune di Piacenza, il titolo: “La via da promuovere è la cura dentro la famiglia”. I dati riportati dalla Palladini parlano del trend demografico e della pressione sociale derivante dalla presenza sempre più numerosa di grandi anziani. 1.070.000 euro è quanto il comune di Piacenza versa alle case protette a copertura di rette di anziani non autosufficienti privi dei mezzi necessari assorbendo l’80% delle risorse del fondo per la non autosufficienza. L’assessore alla fine dice chiaramente che la via che si promuove, anche in armonia con le indicazioni della Regione Emilia Romagna, è quella della domiciliarità, vale a dire del mantenimento dell'anziano non autosufficiente in famiglia. Tra pareti domestiche e nell'affetto dei propri cari. C’è l’assegno di cura:circa 400 famiglie godono di un assegno staccato dal Comune su fondi regionali.
La terza notizia offre la chiave interpretativa del fenomeno.
La Conferenza sanitaria ha esaminato l’atto di programmazione dell’AUSL su cui si andrà presto al voto. Si sottolinea che “in Sanità non basta elencare i bisogni, servono soldi” Dopo la presa di posizione del sindaco Roberto Reggi, durante la recente Conferenza provinciale del welfare altri sindaci mettono il dito nella piaga.
Non è sufficiente redigere un piano dei bisogni del nostro territorio. Questo atto di programmazione deve essere corredato da un piano di sostenibilità economica: “non possiamo nasconderci che avremo a disposizione ancora meno risorse di quanto ipotizzavamo qualche tempo fa”. Ciò è quanto i sin dacvi dicono in provincia di Piacenza. “Dobbiamo confrontarci con le risorse: il documento triennale è indubbiamente molto ben fatto, è capillare, preciso, stilato da persone che conoscono il territorio. Ma come tutti i documenti programmatici, deve essere accompagnato da un piano di sostenibilità economica che tenga conto delle risorse disponibili a tutti i livelli: Stato, Regione, Provincia, distretti, Comuni. Non possiamo negare che stiamo attraversando un momento difficile, e che le disponibilità degli enti locali sono sempre più limitate”. Fin qui la cronaca.
La riflessione.
Non è solo a Piacenza, così va dappertutto in Italia. La risorse sono finite a tutti i livelli ma nessuno lo vuole ammettere. Nessuno crede di esserne responsabile e tutti si affrettano a dire che bosogna garantire il finanziamento dei servizi chiedendo soldi allo stato, alle regioni..ecc.. Ma bisogna proprio dirlo: siamo stufi di sentirli questi politici, che non hanno mai colpe che spostano le responsabilità a dritta e a manca basta salvare la faccia. Il domiciliare è diventato il luogo dove si rispettano gli anziani perché stanno a casa. Certo, è vero, ma è anche vero che a casa la badante e tutto il resto lo paga la famiglia! Qualcuna sa esattamente cosa costa? e qualcuno si è mai domandato che razza di servizio fa una badante? che formazione ha ricevuto e di quale professionalità è dotata?
È ora di un po’ di onestà non è colpa dei cittadini se il rapporto tra anziani e lavoratori è sempre meno favorevole, non è colpa di nessuno, ma il singolo cittadino ha bisogno di risposte e la politica le deve dare. Il Ministro Sacconi ha pubblicato il “Libro Verde”dove dice le stesse cose, ma siccome non ha altri organismi al di sopra non può dire che le risorse gli devono essere date e così propone “La vita buona nella società attiva”.
È arrivata l’idea nuova: se volete satar bene… lavorate! Lavorate e abbiate fiducia in voi stessi. Certo questo ci resta aver fiducia in noi stessi. Questa è la parte onesta del messaggio, in fondo basta un piccolo sforzo di interpretazione e si capisce bene che il welfare del futuro sarà un welfare “fai da te”. Tu, lavora, pagati l’assicurazione, pagati la badante, pagati alcune cure, pagati.. pagati ecc ecc .
Ok siamo arrivatio alla fine e il ministro lo ammette. Fa come dicevano i nostri vecchi ai figli e nupoti che chiedevano cosa avrebbero avuto in eredità, rispondevano con un po’ di bonatria contadina ironia… “Caro, io non ho niente: ti lascio da vivere… fin che campi!”
Ma non siamo disfattisti. Se il messaggio è questo non faremo come troppe volte ho vista fare dai sindacati che non potendo perdere la faccia (e gli iscritti che garantiscono i distacchi sindacali), quando sentono certe cose non ascoltano. Di fronte all’affermazione che non ci sono soldi di solito vengono avanzate richieste di miglioramento economico e i politici magari fanno anche finta di accontentarli. Certo, si sa, a loro brucia non poter soddusafare le brame di chi ha portato voti!
Bravi, bravi davvero!
Anche noi vogliamo dare soddisfazione e soldi ai lavoratori, anche noi vogliamo operatori soddisfatti!
E chi lavora bene se non è soddisfatto?
Anche noi chiediamo più attenzione verso gli operatori di base, verso gfli impiegati, le assitenti sociali, le infermiere, i medici, i direttori… tutti, tutti devo essere soddisafatti del loro lavoro e della looro retribuzione.
Prima di tutto però dobbiamo render soddisfacente il lavoro: dobbiamo ascoltare sintetizzare decidere. Dare il giusto (e non mi si dica che il giusto non c’è perché è un giudizio soggettivo!) sappiamo che il giusto semplice, quello che tutti capisco, c’è eccome!
Che i soldi sono finiti l’abbiamo capito. E allora smettiamola di fare norme che stabiliscono standard di servizio basate solo su risorse materiali. Accontentiamoci di un livello numerico inferiore, facciamo una miglior retribuzione individuale e premiamo la disponibilità accompagnandola con un formidabile impegno di formazione.
Rivolgiamoci ai giovani!. Cerchiamo risorse nuove, andiamo nelle scuole a dire che è unitile inseguire una laurea triennale in qualche nuova scienza inconsistente che alla fine creerà dei baristi impreparati o dei commessi di supermercato inappagati!.
Invitiamoli a fare un corso da oss e andare a lavorare sapendo che questo è un lavoro importante, non da importare! O almeno non da importare interamente.
E smettiamola di credere che le aziende pubblche posano sostenere lo scontro con questa realtà.
In Emilia Romagna in applicazione della legge 328 del 2000 si è deciso di effettuare il riordino delle IPAB promuovendo – leggi: rendendo obbligatorie - le ASP: Aziende Pubbliche di Servizio alla persona, e la Regione ha avuto la faccia tosta di affermare che l’ASP deve lavorare in proprio, deve essere un produttore di servizi con suoi dipendenti e una sua organizzazione produttiva, sennò che azienda è? Già, però non le ha dato una fisionomia da azienda agile e flessibile. Ha creato una struttura ancor più complessa dell’IPAB ( Questo a molti non sembrava possibile, ma non c’è limite alla fantasia istituzionale..!)
Sappiamo benissimo che non è semplice modificare il retaggio del pubblico che è assolutamente negativo. Tutte le volte che, ai giorni nostri o in passato, si è occupato di produzione (Vedi Alitalia, Ferrovie, Alfa Romeo, per citare esempi eclatanti.) ha portato l’azienda alla crisi.
Nel nostro caso, poi, con il peso contrattuale e fiscale del tutto imparagonabile a quello delle coop come volete che sia possibile sopravvivere con un’azienda pubblica più di qualche anno? Presidenti e direttori di nomina pubblica, al di là delle loro caratteristiche personali che potrebbero anche essere idonee, lavorano con la libertà condizionata dagli equilibri della classe politica di un’intera città o di un’ampia zona di provincia. E gli equilibri politici, anche se c’è la “rivoluzione di Brunetta” sono sempre prioritari.
Non è che il manager pubblico non sa fare il suo mestiere è che è un mestiere diverso dal manager!!
Un’assemblea, un Consiglio, un Presidente, un Direttore e poi?
E poi facciamo gli appalti di interi servizi!
Ma chi ce la fa fare di sbagliare del tutto e magari dopo dover ripianare i debiti di un’azienda quando si può farla gestire probabilamente con reciproca soddisfazione da altri?
Pensate: se le cose non vanno si può cambiare l’interlocutore e comunque, in una certa misura, le lamentele vengono dirottate sul fornitore mentre la politica locale può tenersi la parte interessante dell’azienda: la Direzione, la Presidenza e tanti atri bei posticini…
Sinceramente, spero di sbagliarmi!
venerdì 3 ottobre 2008
Un intervento di Franco Pesaresi - Presidente nazionale ANOSS
COMUNICATO STAMPA
IL GOVERNO TAGLIA IL FONDO SOCIALE
SOMMERGIAMO IL MINISTRO SACCONI DI E-MAIL DI PROTESTA
dei comuni per la prima infanzia, per gli anziani, i disabili e i poveri.
Le regioni hanno comunicato che il taglio ammonta a 300 milioni euro pari al 30% del Fondo del 2007. La somma stanziata per il 2008 di 656 milioni di euro è addirittura inferiore a quanto stanziato nel 2001.
In questo momento di economia stagnante se non recessiva, ridurre la spesa sociale che può sostenere le persone più esposte alla crisi costituisce un grave errore politico e culturale ed espone un numero sempre più ampio di famiglie ai rischi di povertà e di marginalità.
Una reazione adeguata a questa situazione purtroppo non si è registrata nei comuni, nelle forze sociali e nella società civile che hanno fatto sentire la loro voce ma senza l’enfasi di altre occasioni.
Riteniamo sbagliato rassegnarsi alla rilevante riduzione dei finanziamenti per cui chiamiamo tutti coloro che hanno a cuore le sorti del settore sociale a far sentire la loro voce.
Proponiamo di inviare migliaia di e-mail di protesta al ministro Sacconi al seguente indirizzo : segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.it (indirizzo pubblico reperito nel sito del Ministero).
Se i comuni italiani, le associazioni di volontariato, le organizzazioni sindacali, le cooperative sociali, gli operatori sociali invieranno migliaia di e-mail, se faranno conferenze stampa, se organizzeranno iniziative potremo modificare questa situazione che colpisce la parte più debole del Paese.
Ancona, 1 ottobre 2008.
Franco Pesaresi
Presidente Associazione Nazionale operatori sociali e sociosanitari
___________________________________
Associazione nazionale operatori sociali e sociosanitari (ANOSS)
Recapiti: via Rossini 16, 60021 Camerano (AN); Sito web: http://www.anoss.it/ e-mail: info@anoss.it 338-7307501
giovedì 25 settembre 2008
L’EDUCATORE IN “CASA PROTETTA” (di Augusta D'Ambrosio)
Ma l’educatore ...
Per leggere l'intero articolo clicca sul link:
articoli completi: L’EDUCATORE IN “CASA PROTETTA”
giovedì 14 agosto 2008
Un pensiero per Renato Martina
dapero ricerca socio sanitaria-piacenza: Un pensiero per Renato Martina
giovedì 7 agosto 2008
Rapporto sul disagio insediativo. “La situazione rischia di peggiorare dopo la pausa estiva”
mercoledì 6 agosto 2008
A Parma lavori in corso per un welfare a misura di comunità
Linee che fanno tesoro di quanto fatto finora in termini di integrazione socio-sanitaria, accessibilità, equità e qualità delle cure, ma insieme fissano un nuovo approccio al tema della tutela della salute. L’invecchiamento della popolazione, l’aumento della componente immigrata, l’indebolimento dei legami sociali e familiari sono alcuni dei cambiamenti che hanno interessato la società e che hanno determinato bisogni sempre più complessi che vanno affrontanti con politiche innovative, che tengano conto di tutti i fattori che incidono sul benessere delle persone: dall’ambiente al lavoro, dalle politiche abitative a quelle scolastiche, dalla mobilità del territorio alle sue caratteristiche socio-economiche. A questo servirà il Profilo di comunità, un documento che fotografa il territorio nei suoi elementi specificamente sanitari e in tutti quelli che hanno un impatto sul benessere dei suoi abitanti. Da qui è possibile partire per costruire un vero welfare di comunità, in cui anche le politiche non direttamente sociali e sanitarie possano concorrere alla tutela della salute della comunità.
“Con l’incontro di oggi si apre una nuova, intensa stagione di programmazione, che ci porterà a ridisegnare il nostro sistema di welfare nel giro di pochi anni – ha detto il presidente della Conferenza Vincenzo Bernazzoli – I tempi sono stretti, ma possiamo farlo perché abbiamo lavorato bene finora, e dobbiamo continuare su questa strada, con un forte senso di responsabilità da parte di tutti i soggetti che prendono parte al percorso di pianificazione”. Percorso che inizia da oggi, con la condivisione delle linee di indirizzo e del Profilo di comunità, che saranno adottati definitivamente in autunno, dopo il vaglio delle aziende sanitarie, dei distretti, dei sindacati, dei comitati consultivi misti, del terzo settore e di medici e operatori della sanità. Un lavoro preliminare su cui si fonderà la pianificazione 2009-2011, che dovrà essere conclusa entro la fine del 2008.
http://notizie.parma.it/page.asp?IDCategoria=15&IDSezione=0&ID=242888
giovedì 31 luglio 2008
Federalismo fiscale: proposta delle regioni
lunedì 28 luglio 2008
Il "Libro Verde sul futuro del modello sociale"
Una consultazione pubblica è aperta per un periodo di tre mesi, fino al 25 ottobre, attraverso la casella di posta elettronica libroverde@lavoro.gov.it.
• le disfunzioni, gli sprechi e i costi del modello attuale;
• la principale sfida politica e cioè la transizione verso un nuovo modello che accompagni le persone lungo l’intero ciclo di vita attraverso il binomio opportunità – responsabilità;
• un modello di governance che garantisca la sostenibilità finanziaria e attribuisca a un rinnovato e autorevole livello centrale di governo compiti di regia e indirizzo, affidando, invece, alle istituzioni locali e ai corpi intermedi, secondo i principi di sussidiarietà, responsabilità e differenziazione, l’erogazione dei servizi in funzione di standard qualitativi e livelli essenziali delle prestazioni;
• gli obiettivi strategici dei prossimi anni per giungere – attraverso un costante esercizio di benchmarking con le migliori esperienze internazionali e in coerenza con le linee guida comunitarie – a un sistema di protezione sociale universale, selettivo e personalizzato che misuri su giovani, donne e disabili, in termini di vera parità di opportunità, l’efficacia delle politiche;
• le possibili linee guida sui pilastri del sistema e una ipotesi di grandi programmi (quali natalità; famiglia; formazione e occupabilità; prevenzione per la salute).
Una consultazione pubblica sarà aperta sulle questioni sollevate dal Libro Verde per un periodo di tre mesi.
Il Governo, in coerenza con esso, formulerà le proposte in materia di lavoro, salute e politiche sociali per l’intera legislatura.
F.to Maurizio Sacconi
Livelli Essenziali delle Prestazioni sociali - LEP
II nuovo titolo V della Costituzione, che stabilisce una esclusiva competenza delle Regioni in materia di assistenza, mantiene in capo allo Stato una funzione strategica per la governance del sistema di welfare nazionale: la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni (LEP) concernenti i diritti civili e sociali. I LEP rappresentano, quindi, il principale strumento per il governo delle politiche sociali nazionali, in un sistema integrato dei servizi che si articola, da un lato, su piani istituzionali differenti, dall'altro, in una rete di soggetti pubblici e privati che concorrono alla erogazione dei servizi e degli interventi. I LEP rivestono una importante funzione di coesione del sistema poiché consentono, a fronte di un sistema di protezione sociale fortemente differenziato sul territorio, e che presenta marcati elementi di sperequazione territoriale (specie in termini di quantità e qualità delle prestazioni erogate), uno strumento di garanzia per il diritto al soddisfacimento dei bisogni di natura assistenziale e sociale che, per alcuni versi, recupera il modello di convergenza dei sistemi tipico degli interventi comunitari. All'interno di questo quadro, il Ministero sta lavorando al processo di definizione dei LEP, percorrendo un processo che prevede la partecipazione dei molti attori coinvolti (istituzionali e privati) e si snoda su più piani di analisi:
- la natura giuridica dei LEP (in altri termini l'esigibilità della prestazione stabilita);
- le soluzioni organizzative per l'erogazione di prestazioni di "livello" adeguato;
- la dimensione delle risorse necessarie a garantire determinati LEP;
- l'interferenza tra i LEP sociali e i livelli del settore sanitario (l'area socio-sanitaria);
- il monitoraggio dei LEP e l'eventualità delle misure di sostituzione.
http://www.solidarietasociale.gov.it/SolidarietaSociale/tematiche/Livelli/
Anziani: Disponibili gli opuscoli informativi in lingua per assistenti famigliari straniere
ANOSS - Eletto il Direttivo locale
Associazione Nazionale Operatori Sociali e Sociosanitari
Iscritti della regione Emilia-Romagna
Estratto del Verbale di assemblea
DELIBERA
Di eleggere il Consiglio Direttivo dell’Emilia-Romagna nelle persone di:
Antonietta Negri (Direttore di IPAB)
Carlo Gobbi (Coordinatore di servizi socio assistenziali)
Tiziana Cravedi (Medico di struttura)
Renato Dapero (Consulente/formatore)
Gabriella Cella (Educatore/Animatore)
Renato Cardinali (Consulente/formatore)
Mara Caminati (RAA )
sabato 26 luglio 2008
dapero ricerca sociosanitaria: ACCREDITAMENTO- (Articoli di Renato Dapero - 1° Pubblicato su ASSISTENZA ANZIANI, 2° in corso di pubblicazione)
Accreditamento. Progetto impegnativo per le Regioni - è l'ultimo artocolo
di RENATO DAPERO
AFFRONTANDO IL TEMA COMPLESSO DELL’ACCREDITAMENTO ISTITUZIONALE DELLE STRUTTURE E DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI È FACILE SCONFINARE IN SCELTE IDEOLOGICHE, MA, SE È GIUSTO CHE LE REGIONI SIANO COERENTI CON LA PROPRIA VISION, È ALTRESÌ INDISPENSABILE CHE DIANO VITA A UNO STRUMENTO DI EQUITÀ E PROGRESSO EVITANDO UNO SPROPORZIONATO AUMENTO DEL RAPPORTO COSTI/BENEFICI. PROPOSTE INTERESSANTI IN UN DOCUMENTO DI STUDIO DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA.
C’è una sostanziale debolezza dell’attuale modello di gestione dei servizi dovuta a diverse cause di crisi tra cui la gestione ancora invischiata in uno stile più burocratico che manageriale. In un tale contesto le regioni si avviano a stabilire le norme per l’accreditamento istituzionale dei servizi sociosanitari. È una buona occasione per ricuperare in parte il deficit di credibilità della politica da parte dei cittadini: facendo un buon accreditamento si dimostra la capacità di creare strumenti di regolazione efficaci basati sull’azione degli enti pubblici. Ciò che si teme è che i sistemi di regolazione pubblica, per allontanare il pericolo di affidarsi al libero mercato, tendano a sviluppare una gestione centralizzata col rischio di creare situazioni di monopolio scarsamente efficiente e di ridurre il ruolo dell’utenza. Il libero mercato non è gradito perché è portatore di una concezione orientata al profitto e non appare sempre coerente col principio di prevalenza del bene comune, ma, sembra di capire, viene tenuto lontano anche e soprattutto perché regolato da meccanismi che escludono il controllo diretto della politica. Non si può dimenticare però che, come fattore di qualità, nel mercato c’è la concorrenza che non dovremmo escludere mai da nessun settore produttivo.
(Il testo dell'intero articolo e dei precedenti cliccando sul link)
Accreditamento. Progetto impegnativo per le Regioni (di Renato Dapero)
C’è una sostanziale debolezza dell’attuale modello di gestione dei servizi dovuta a diverse cause di crisi tra cui la gestione ancora invischiata in uno stile più burocratico che manageriale. In un tale contesto le regioni si avviano a stabilire le norme per l’accreditamento istituzionale dei servizi sociosanitari. È una buona occasione per ricuperare in parte il deficit di credibilità della politica da parte dei cittadini: facendo un buon accreditamento si dimostra la capacità di creare strumenti di regolazione efficaci basati sull’azione degli enti pubblici. Ciò che si teme è che i sistemi di regolazione pubblica, per allontanare il pericolo di affidarsi al libero mercato, tendano a sviluppare una gestione centralizzata col rischio di creare situazioni di monopolio scarsamente efficiente e di ridurre il ruolo dell’utenza. Il libero mercato non è gradito perché è portatore di una concezione orientata al profitto e non appare sempre coerente col principio di prevalenza del bene comune, ma, sembra di capire, viene tenuto lontano anche e soprattutto perché regolato da meccanismi che escludono il controllo diretto della politica. Non si può dimenticare però che, come fattore di qualità, nel mercato c’è la concorrenza che non dovremmo escludere mai da nessun settore produttivo.
Si tratta di trovare una via che salvi quanto di utile e buono c’è nel mercato e quanto nei sistemi di regolazione pubblica. Nel mercato, come si è detto, c’è un sistema basato sulla competizione tra più fornitori e poiché quello dell’assistenza è un mercato, sia pur con certe peculiarità, in un modo o nell’altro dobbiamo mantenervi la concorrenza. Allo Stato o in generale all’ente pubblico è lasciato il compito di programmare la tipologia di prodotto/servizio e la quantità da offrire. Sempre al pubblico, nella fattispecie al comune, viene dato il compito di accreditare cioè di stabilire, chi, non solo possiede i requisiti per procedere all’offerta del servizio, fatto sancito nell’autorizzazione, ma che possiede requisiti migliori e tali da soddisfare in modo ottimale i bisogni. Ciò consente che l’ente venga accreditato cioè reso titolare del diritto di partecipare all’offerta del servizio con contributo pubblico.
È necessario che l’accreditamento imponga requisiti che si differenzino nettamente da quelli dell’autorizzazione, possibilmente ponendo l’accento sulle qualità professionali, per due ragioni fondamentali. In primis perché la più importante qualità percepibile dall’utenza è quella derivante da un miglior apporto di contenuti relazionali nel lavoro di cura e poi perché i fattori di qualità strutturali sono già contenuti nell’autorizzazione e non ha senso proporne l’incremento ai fini dell’accreditamento in quanto altro non si otterrebbe che un aumento più che proporzionale dei costi rispetto al beneficio che si perseguirebbe. L’accreditamento, a ben vedere, deve assicurare un incremento percepibile dell’efficacia dell’azione assistenziale. Non interessa in questo senso un ampliamento delle caratteristiche logistiche posto che per l’autorizzazione già sono richiesti standard coerenti con i livelli socialmente oggi ritenuti buoni, ma l’individuazione di nuovi standard riguardanti la qualità del lavoro degli operatori in termini più pregnanti e sottili. È chiaro che risulta più difficile operare su questo terreno, ma le competenze alle istituzioni non mancano e se non si vuole andare incontro a un fallimento bisogna operare secondo questa linea. Il fallimento temuto è che le risorse economiche non bastino a sostenere gli obiettivi di qualità proposti da formule di accreditamento che tendano a far pressione sui produttori provocando ulteriori costi per la struttura o per il numero di personale. Gli unici costi che sarà inevitabile inserire sono per la formazione in quanto il personale va formato a nuovo sfide e preparato a sostenere nuove modalità di espressione del proprio lavoro. Non si può immaginare che ciò nasca dal nulla; può nascere solo da una chiara presa di coscienza da parte dei decisori politici, da una consapevolezza dei quadri dirigenti delle aziende di servizi alla persona e da una condivisione opportunamente definita con tutti gli operatori. Solo così, avendo in mente tutti la stessa strada e gli stessi obiettivi sarà possibile ottenere risultati apprezzabili. L’accreditamento quindi è una grande occasione che non va sprecata, non deve essere percepito, ai vari livelli, come un appesantimento delle condizioni generali di lavoro o un aggravio di spesa, perché questo porterebbe ad una rinnovata condizione di sfiducia.
Dunque tra tutti i fornitori dotati di autorizzazione al funzionamento, cioè in possesso dei requisiti richiesti quanto a struttura logistica e composizione organizzativa, il comune deve individuare gli enti e i servizi da accreditare che devono offrire un determinato livello minimo di altri requisiti di natura del tutto diversa. E accrediterà tutti i fornitori che presentano quei requisiti minimi per tutti i posti che offrono, non per precostituire un diritto ad occuparli con contributo pubblico, ma perché tale diritto esista in potenza e si concretizzi in conseguenza delle scelte operate dall’utenza. Il comune accredita tutti i posti accreditabili, poi lascia la libertà di scelta all’utente fino a concorrenza dei posti che possono essere oggetto di contratto tra l’ente pubblico e i diversi fornitori accreditati e presenti sul territorio. Questi sono i punti fermi di una teoria che si basa su un mix di elementi che valorizzano sia i principi regolatori del mercato sia quelli del sistema programmatorio pubblico. Escludere alcuno di questi principi significa non imboccare la via che attraverso selezioni virtuose porta ad ottenere la più alta qualità del servizio.
Non si vede come sia possibile non accogliere un tale approccio qualunque concezione politica si abbia, perché da un lato non si può lasciare al libero mercato l’onere di aggiustare domanda e offerta e dall’altro non ci si può illudere che la programmazione pubblica sia un metodo di assoluta affidabilità e di definitiva e provata adeguatezza rispetto al problema di mantenere alta la tensione al miglioramento in un contesto turbolento e di contrazione delle risorse.
Non v’è giorno che non si leggano pessime analisi economiche e preoccupate dichiarazioni sulle agenzie di stampa. È di questi tempi la polemica sulle risorse dello Stato previste nel piano della salute che sarebbero fortemente diminuite nella manovra finanziaria. Tali risorse sarebbero praticamente dimezzate con conseguenze gravissime sui bilanci delle regioni che per bocca dei Governatori mostrano la massima preoccupazione per i temuti tagli. Ma non è la sola sanità a piangere, altre categorie insorgono, ad esempio recentemente c’è stata una presa di posizione del sindacato di polizia che lamenta un atteggiamento incomprensibile nel prevedere un maggior impegno nella sicurezza accompagnato da tagli nelle risorse messe a disposizione delle forze dell’ordine. Questi ed altri esempi che si potrebbero fare possono anche creare polemica politica, ma in questa sede non interessa farlo e vengono presentati come chiave di lettura del problema verso cui stiamo muovendo. Tutto sembra dire: “la festa è finita: ragazzi, non c’è una lira!!”
Tenendo conto che “le risorse sono finite” si continua l’approfondimento sul tema dell’accreditamento riferendoci al lavoro di produzione normativa attualmente in corso in Emilia-Romagna.
Da una rapida lettura delle prime norme regionali si è temuto che l’accreditamento venisse definito mediante controlli sul possesso di requisiti logistici, strumentali e organizzativi essendo assenti o presenti in modo non chiaro altri elementi determinanti per la qualità. Come si è ricordato la Regione Emilia Romagna con una delibera della giunta del 2007 ha individuato i servizi per i quali l’accreditamento è previsto e le linee guida del relativo processo. Successivamente, con atto del Consiglio ha introdotto un accreditamento transitorio riferito ai gestori delle strutture e dei servizi che siano autorizzati e che già intrattengo rapporti con il Ssr. Questa decisione nasconde un’ombra gattopardesca che sarebbe bello eliminare: non fingiamo di cambiare per lasciare tutto come prima o peggio di prima! A fronte di un obiettivo dichiarato di assicurare qualità e miglioramento agli utenti si decide di continuare con chi ha già collaborato in passato. Forse per un breve periodo come soluzione transitoria può anche essere adottata, ma dovrebbe essere adottata di fatto, non sancita da una norma, che inevitabilmente crea precedente, e anche attese e legittime aspettative da parte dei fornitori. Non si dica che è dichiarato che è transitorio e quindi nessuno si può illudere! Non si dica, perché è noto che i provvedimenti transitori hanno una grande probabilità di durare a lungo: perché studiare e mandare avanti il provvedimento definitivo che crea antagonismi e ripercussioni politiche negative? “Tanto i servizi sono garantiti.. c’è l’accreditamento provvisorio.. ma ci sono i contratti di servizio, se non fanno quello che devono fare glieli revochiamo..” ma quando, quando mai! Si torna a temere che tra gli intenti non dichiarati ci sia quello di sostenere le ASP, di difenderle da un’endemica debolezza che difficilmente le farà decollare perché non solo non hanno lasciato zavorra al suolo ma ne hanno imbarcata anche di più di quanta ce ne fosse prima e sicuramente di quanta ce ne fosse bisogno!
Ora la ricetta che si propone è quella che l’accreditamento sia possibile per tutti i posti che hanno i requisiti previsti senza limitazioni di sorta, neanche quella relativa alle necessità programmate dagli enti locali, che l’accreditamento provvisorio sia una situazione di fatto non formalizzata e che gli elementi determinanti dei requisiti siano relativi alla qualità intrinseca del servizio erogato con particolare riferimento alla professionalità degli operatori intesa come espressione di una capacità, ai vari livelli, di prendersi cura e di esprimere un elevato profilo relazionale.
Prendendo spunto da un documento messo in circolazione dalla Regione Emilia Romagna intitolato “proposta requisiti di accreditamento definitivo – giugno 2008” vediamo se e in che misura in questa regione si è impostato un provvedimento tale da rispettare gli obiettivi dichiarati sopra.
Il documento dichiara di avere queste finalità:
sviluppare la qualità tenendo conto della natura relazionale dei servizi,
stabilizzare il sistema di relazioni con i produttori aumentandone il grado di responsabilizzazione
connettere l’accreditamento con il processo di programmazione distrettuale.
La scelta metodologica che viene fatta nel documento è quella di individuare dieci aree di qualità e gli obiettivi dei requisiti afferenti ad ogni area anche in relazione ai risultati attesi dagli utilizzatori. Gli estensori del documento hanno previsto requisiti validi per tutte le categorie ed altri specifici per le singole tipologie e hanno indicato l’opportunità che anche per l’autorizzazione sia fatta la stessa scelta delle dieci aree così che sia possibile riconsiderare per intero il problema definendo i due livelli di regolazione in base ad un ambito prevalente e precisamente:
AUTORIZZAZIONE > aspetti strutturali ed elementi organizzativi minimi
ACCREDITAMENTO > processi e qualità gestionale - organizzativa
L’orientamento dichiarato è quello di lasciare inalterati, rispetto alla normativa vigente, gli aspetti strutturali per l’autorizzazione integrando gli organizzativi in coerenza con quelli dell’accreditamento.
Sembra che un po’ di innovazione sia stata introdotta! Particolarmente apprezzabile la distinzione tra requisiti strutturali/logistici, elementi prevalenti per l’autorizzazione, e requisiti relativi ai processi e alla qualità gestionale/organizzativa nel sua complesso. Questa scelta assicura un accreditamento con caratteristiche distintive chiare rispetto all’autorizzazione e ciò risulta rafforzato dall’obiettivo di sviluppare la qualità tenendo conto della natura relazionale dei servizi cioè dal punto di vista della persona.
Opportuna la prevista connessione dell’accreditamento con i processi di programmazione locale e interessante l’assenza di un limite quantitativo che consentirebbe l’accreditamento di tutti gli accreditabili e non limitatamente al fabbisogno programmato.
Quest’ultimo argomento non è però possibile assumerlo come dato positivo certo perché il documento ne parla in modo generale e non si possono escludere interpretazioni diverse, soprattutto se lo si mette in relazione al dichiarato obiettivo di stabilizzare il sistema di relazioni coi produttori e aumentare il loro grado di responsabilizzazione. È un punto che potrebbe nascondere qualche problema. Così come enunciato va bene, a nessuno sfugge l’utilità di un rapporto integrato tra i produttori e i pianificatori dei servizi purché non sconfini in una sorta di chiusura resa ancor più forte dall’obbiettivo di ridurre la frammentazione. Obiettivo giusto per ottenere aziende più forti e in grado di affrontare il futuro con una maggior solidità economico-organizzativa, ma sbagliato se per ottenere la riduzione di frammentazione si finisse per concentrare le aziende esistenti in pochi monopoli.
Sarà interessante seguire l’evoluzione della proposta.
venerdì 25 luglio 2008
Fazio: Governo ritira i Lea perché non c'era copertura finanziaria
Sono senza risorse, tra l’altro, il vaccino HPV; il parto indolore; le cure odontoiatriche agli indigenti; il riconoscimento più di cento malattie rare; l’ampliamento dell’ assistenza protesica con l’introduzione di nuovi ausili informatici e di comunicazione; il rafforzamento dell’ assistenza domiciliare.Quindi tagliati dal Governo i nuovi Livelli essenziali di assistenza sanitaria, il presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani, oltre ad esprimere la preoccupazione delle Regioni, ha chiesto al Governo di dire che cosa intendesse fare ora.
Ha risposto il sottosegretario alla sanità Fazio: ''abbiamo dovuto ritirare i Lea perche' non c'era copertura finanziaria''. E ha precisato che si era di fronte ad uno ''scoperto pari a circa 800 milioni di euro''. Al momento ''stiamo lavorando ad una nuova versione dei Lea, che dovrebbe essere pronta entro la fine dell'Estate''. Tra i livelli essenziali di assistenza, ha affermato Fazio, verrano mantenuti, ad esempio, quelli relativi ai comunicatori vocali per i disabili, alle malattie rare ed ai farmaci per l'Aids.
( per leggere l'intero articolo e altri correlati clicca sul titolo riportato sotto)
Fazio: Governo ritira i Lea perche' non c'era copertura finanziaria
giovedì 24 luglio 2008
Errani: sanità; preoccupati per revoca nuovi Lea
Dal sito regioni.it
La musica sembra sempre la stessa: "Ragazzi, non c'è una lira!"
Peccato che a soffrire siano i cittadini più deboli!
SANITA': FAZIO, LEA NON COPERTI PER 800 MLN, REVOCATO DPCM
(ANSA).
lunedì 21 luglio 2008
Inaugurata casa protetta grazie a un contributo di privati e un investimento delle coop
Leggi l’articolo sulla Gazzetta di Parma
http://www.gazzettadiparma.it/primapagina/dettaglio/1/3888/Alberi_inaugurata_una_nuova_casa_protetta.html
Grazie a chi ha fatto il primo passo con un gesto così generoso e complimenti a che ha saputo portare avanti l’iniziativa. Un bell’esempio da conoscere e considerare. Collaborazioni di questo genere saranno sempre più frequenti e rappresentano il futuro dell’assistenza residenziale in Emilia Romagna. Naturalmente dopo le ASP…
martedì 15 luglio 2008
"L'arte di aiutare: il counseling con la Pedagogia per il Terzo Millennio"
link:
http://blog.assistentisociali.org/bisogni/89/arte-di-aiutare-il-counseling.htm
sabato 12 luglio 2008
"Il caffè da noi". Report della terza edizione.
Partendo dall'osservazione delle norme regionali in cui si prevede la presenza del Responsabile di Nucleo, si osserva che “tale funzione viene svolta dai responsabili delle attività assistenziali o da infermieri in relazione alle necessità socio sanitarie degli anziani”. Il RAA non ha mai rappresentato una qualifica, bensì una specializzazione di figure assistenziali di base (l’ADB) che già possedevano un’esperienza professionale all’interno dei servizi. La stessa norma che prevede l’obbligatorietà della figura, ammette, in luogo dell’attestato, un adeguato curriculum professionale e formativo, con esperienza specifica almeno biennale.
La figura del RAA, in linea con la complessità dei compiti, è stata definita semimanageriale, purtroppo però, né i percorsi formativi né le modalità di accesso al ruolo sono tali da assicurare strumenti e legittimità all’esercizio delle funzioni.
La formazione, in passato, ha puntato poco sullo sviluppo delle capacità di leadership, relazionali, di conduzione di gruppi di lavoro. Quasi mai sono stati insegnati metodi e strumenti di problem solving.
I corsi sono stati lacunosi soprattutto per quanto riguarda il tema del lavoro per progetti.
Difficilmente ai Raa è stata offerta l’occasione di conoscere nuove realtà con cui potersi confrontare, questo per la risaputa chiusura verso l’esterno delle nostre strutture.
giovedì 10 luglio 2008
Una prima analisi dopo la riforma dei servizi sociali. Bologna 18 luglio
Il 18 luglio a Bologna si fa luce sui processi decisionali messi in campo in Emilia-Romagna . Nell'ambito della presentazione del VI rapporto sulla legislazione regionale viene presentata anche la relazione “A cinque anni dalla riforma dei servizi sociali, una prima analisi”, un contributo alla conoscenza dell’attuazione della legge regionale n. 2/2003 “Norme per la promozione della cittadinanza sociale e per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali” che ha inteso riorganizzare significativamente la politica degli interventi di welfare in Emilia-Romagna.
L'appuntamento bolognese è quindi per venerdì 18 luglio dalle 9.30 alle 13.30 alla sala Polivalente dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna (viale Aldo Moro 50). Rappresentanti delle istituzioni, docenti ed economisti fanno il punto sull´attività di produzione normativa che ha interessato la Regione dal primo gennaio al 31 dicembre 2007, guardando al confronto con gli anni 2005-2006 oltre che con le altre Regioni e le tendenze nazionali.
Maggiori informazioni sul sito della Regione Emilia Romagna
Link:
§ Il programma
§ Allegato "A cinque anni dalla riforma dei servizi sociali, una prima analisi" (pdf, 1362 kB)
venerdì 27 giugno 2008
Dieci domande sui Piani di Zona
E´ un documento di programmazione dei Comuni associati che, in coerenza col Piano sociale regionale e di intesa con l´Azienda USL, definisce le politiche sociali e socio-sanitarie rivolte alla popolazione dell´ambito territoriale coincidente con il distretto sanitario.
2 - A cosa serve un Piano di zona?
Serve a costruire un sistema integrato di interventi e servizi. Integrazione a livello delle politiche sociali – sanitarie – educative e del lavoro; integrazione mettendo in relazione servizi e provvedimenti assistenziali di natura diversa; integrazione infine nella collaborazione e nel lavoro coordinato tra cittadini e soggetti istituzionali, tra enti pubblici e privati
3 - Cosa contiene un Piano di Zona? (art.29 L.R. 2/2003)
La definizione del sistema locale, quindi di quella zona, dei servizi sociali a rete, cioè connessi in modo da essere "percorribili" dagli utenti senza forti discontinuità o addirittura conflitti;
le modalità con cui va organizzato l’accesso ai servizi per garantire l’effettiva esistenza della rete e la presenza di una guida al cittadino da parte dei nodi della rete;
il coordinamento con le amministrazioni statali (Scuola, giustizia ecc..)
Gli obiettivi e le priorità d´intervento specifici della Zona, anche in ambito sociosanitario, nel quadro di quelli definiti a livello regionale indicati di seguito:- Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari e delle capacità genitoriali- Rafforzare i diritti dei bambini e degli adolescenti- Potenziare gli interventi di contrasto della povertà e dell´esclusione sociale- Sostegno della domiciliarità- Prevenzione delle dipendenze- Azioni per l´integrazione sociale degli immigrati.Gli strumenti e le risorse per raggiungere gli obiettivi;I modi in cui i cittadini partecipano al controllo di qualità dei servizi;Quale formazione di base e/o permanente occorre agli operatori della zona.
4 - Come si è avviato sul territorio il processo?
Gli indirizzi generali per la costruzione e l´approvazione dei primi Piani sociali sperimentali di zona sono stati dati dalla Regione (Delibera consiliare n. 246/2001 e DGR 329/2002). La metodologia "dal basso verso l´alto" consente di far emergere e valorizzare le tendenze proprie delle diverse zone e realtà locali, rispetto sia alle scelte sul sistema dei servizi sia agli obiettivi strategici, riguardanti le forme di gestione dei servizi, l´integrazione delle politiche, la qualificazione del sistema, la formazione degli operatori.attuati i seguenti passaggi:-attivazione di organismi politici e tecnici distrettuali per elaborazione e la gestione dei PdZ.- individuazione e coinvolgimento dei soggetti, compreso terzo settore, che parteciperanno in forme diverse al PdZ, -attivazione della rete dei soggetti chiamati alla gestione integrata degli interventi e dei servizi.ciò con il governo dei Comuni e delle Province chiamate ad un´azione di stimolo, coordinamento e supporto.
5 - Quali sono le fasi di elaborazione dei Piani?
L´elaborazione dei Piani è partita dalla ricostruzione delle basi conoscitive sul sistema dell´offerta presente nelle varie aree di intervento. Ciò si è concretizzato con l’individuazione dei soggetti presenti sul territorio, a diverso titolo coinvolti nel sistema di offerta dei servizi con la prefigurazione del loro possibile ruolo nella progettazione complessiva dei servizi del territorio. È infine necessario predisporre occasioni e strumenti di rappresentanza dei diversi soggetti, per consentire a tutti di esprimere il proprio contributo
Alla ricostruzione dell´offerta segue l´individuazione di bisogni e criticità del sistema e quindi la definizione di obiettivi prioritari tradotti, dai Comuni associati, in scelte concrete, riferite a singole tipologie di servizio o di intervento.
6 - Quali sono quindi gli attori coinvolti nei Piani di Zona?
I soggetti istituzionali:- La Regione con funzione di indirizzo, programmazione e coordinamento;- Le Province, con funzione di promozione, accompagnamento e formazione a livello interzonale;- I Comuni associati con ruolo di promozione, governo e direzione del processo, di produzione e gestione dei Piani;- Le Aziende USL e i distretti nella programmazione congiunta con i Comuni, in quanto soggetti competenti sull’accesso e l’erogazione dell´assistenza primaria - sanitaria e sociosanitaria;- Le amministrazioni statali, che in base alle loro competenze hanno dato il loro apporto alla programmazione (scuola, carcere, giustizia minorile).
I soggetti sociali (Hanno aderito in molte zone ai Piani con specifici Protocolli di adesione)- La cooperazione sociale- Il volontariato- L´associazionismo- Le organizzazioni sindacali- Le IPAB, oggetto di un processo di trasformazione in ASP.
7- Come si realizza l´integrazione sociosanitaria nei Piani sociali di Zona?
Per gli interventi socio-sanitari e ad elevata integrazione socio-sanitaria ci deve essere coincidenza tra le indicazioni del PdZ e quelle del Programma delle attività territoriali del Distretto, e l´Accordo di Programma che approva i piani deve essere sottoscritto anche dal Direttore Generale dell´Ausl o dal direttore di Distretto. Inoltre i Piani devono tenere conto delle indicazioni e delle elaborazioni contenute nei Piani per la Salute nonchè dei Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria (LEA). E´ in corso un processo di innovazione del governo dell´integrazione socio-sanitaria anche a seguito dell´introduzione sperimentale del Fondo regionale per la non autosufficienza.
8 - Come si attuano i Piani di Zona?
Il Piano è un documento programmatico di prospettiva triennale, e prevede per la sua attuazione due ulteriori strumenti:- il Programma attuativo annuale nel quale vengono individuati nel dettaglio gli interventi e i servizi e le relative risorse per il loro funzionamento;- l´Accordo di Programma tra Provincia, Comuni associati e Azienda USL, anch´esso di durata annuale, nel quale i diversi soggetti istituzionali sottoscrivono specifici impegni relativi a obiettivi e risorse.
9 - Quali sono le risorse per attuare i Piani di Zona?
Le risorse finanziarie per l´attuazione dei Piani provengono: - dal Fondo sociale nazionale (risorse indistinte e vincolate su specifici interventi/aree di bisogno)- dal Fondo sociale regionale (risorse indistinte e risorse finalizzate a specifici Programmi)- dagli Enti locali (singoli Comuni, Comuni associati, Consorzi, Comunità montane, Province)- dalle Aziende USL (specificamente sugli interventi ad integrazione sociosanitaria)- da altri Enti non istituzionali: IPAB, Fondazioni, soggetti del Terzo settore- dalle quote di compartecipazione al costo dei servizi a carico dei cittadini utenti.
10 - Quali sono i primi risultati dei Piani sociali di Zona?
Nel suo complesso il processo di programmazione sperimentale attuato ha portato nella maggior parte dei territori all´avvio:- di un processo integrato, tra i vari livelli istituzionali e i diversi soggetti sociali, di valutazione dell´offerta e dei bisogni e di programmazione;- di un processo di integrazione con altre politiche settoriali: in primo luogo sanitarie, ma anche della scuola, della formazione professionale e del lavoro, delle politiche abitative;- di un confronto sulla validità e l´efficacia delle differenti forme di gestione dei servizi sociali sperimentate in Emilia-Romagna.
È una sintesi di quanto pubblicato sul sito della regione Emilia-Romagna
http://www.emiliaromagnasociale.it/wcm/emiliaromagnasociale/home/documentazione/pdz/PdZ_FAQ/Tutte_le_faq.htm
sabato 7 giugno 2008
Professioni sociali
ANOSS presente a Roma al seminario del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali.
report della giornata
“IL LAVORO NEL SETTORE DEI SERVIZI SOCIALIE LE PROFESSIONI SOCIALI”
All’apertura dei lavori da parte di dott. A. Marano erano presenti una cinquantina di rappresentanti di istituzioni (Regioni prevalentemente) e di associazioni.
La prima relazione del prof. Butera è stata interessante. Ha parlato della relazione tra PERSONA – RUOLO – PROFESSIONE. La persona, le sue caratteristiche e competenze, cosa fa davvero? Cioè qual è il suo ruolo? Allora si assiste a uno sviluppo della persona nel ruolo e contestualmente uno sviluppo del ruolo “sulla” persona .
Ci si deve chiedere: c’è identità tra ruolo e professione? La professione è ciò che da identità alla persona, ciò che gli garantisce una formazione e una remunerazione, ma nella definizione della professione può non esserci sovrapponibilità col ruolo. I servizi sociali, ha detto, sono un luogo di innovazione e sperimentazione; nuove figure si delineano ed entrano in concorrenza con le vecchie, inoltre ci sono grandi differenze tra le regioni che hanno denominazioni e profili differenti.
La dott.ssa Poddighe ha rilevato l’esistenza di 190 professioni ( e non si è dichiarata certa di averle rilevate tutte, per la difficoltà a reperire le relative fonti). Ha rilevato disomogeneità nelle denominazioni e una grande variabilità anche di consistenza numerica: si va da 14 professioni della Liguria a 41 della Basilicata! Ha sottolineato l’opportunità di un riconoscimento dei percorsi formativi per assicurare mobilità nei territori e leggibilità a livello di paesi europei. Citato la Regione Emilia Romagna che con legge 12/2003 ha approvato un repertorio delle qualifiche regionali. C’è un intervento sui profili al fine della determinazione dei requisiti minimi per autorizzazione al funzionamento e accreditamento, ma poche indicazioni sulle competenze o sulle funzioni distintive. Ha citato il caso favorevole della figura di OSS a seguito di un accordo Stato/Regioni del 2001.
Nell’intervento del prof. Pianta sono stati riferiti i numeri. In particolare la stima è di 600.000 occupati nel settore tra cui più della metà appartenenti alle cooperative. Ci sarebbero poi 700.000 badanti. Si tratta di un bacino di espansione dell’occupazione, ma manca un ruolo trainante della Pubblica Amministrazione che vuole probabilmente evitare un aumento della spesa pubblica.
Il dott. Zamaro ha coordinato la discussione che ha visto interventi (a volte di carattere rivendicativo di alcune categorie professionali), di alcuni rappresentanti delle regioni, di rappresentanti dell’ISTAT e dell’ISFOL.
In rappresentanza dell'ANOSS è stato sottolineato come la tendenza a non voler accrescere la spesa pubblica ha portato e può portare ancor più a problemi e difficoltà. Ad esempio, se ci sono più operatori di cooperativa che dipendenti pubblici è perché costano meno, ma non è corretta la sperequazione e non è certa l’equivalenza formativa. Poi, riprendendo un’affermazione di Zamaro che aveva detto che anche in altri settori ci sono contenuti diversi rispetto a profili uguali e viceversa, ho fatto presente che in realtà nel nostro settore è imprescindibile una declaratoria dei profili a livello nazionale, non perché faccia paura l’eterogeneità, ma perché è una garanzia iniziale importante: se si vogliono stabilire dei livelli minimi dei servizi bisogna affermare anche degli standard minimi delle professioni.
è stato poi trattato il tema del burnout riscontrabile nelle professioni sociali perché spesso l’operatore finisce in “un abbraccio” con l’utente. Ciò ha creato dibattito e alcuni hanno sostenuto che l’approccio deve essere professionale riducendo la componente emotiva. Ciò non è sempre possibile e la posizione di duplice valenza di uomo e professionista non è opportuno scinderla in quanto potrebbe rappresentar forse l’elemento di rischio da un lato e la carta vincente dall’altro.
venerdì 23 maggio 2008
Vieni a prendere il (secondo) caffè!!
Se l’idea ti piace
Vieni a prendere il caffè da noi!
Giovedì 29 maggio alle ore 15,00
A Piacenza - Casa San Giuseppe - Via Morigi, 45
In questa seconda edizionee si aprirà la discussione sul tema
Organizzazione
per l’Integrazione
esperienze a confronto
martedì 13 maggio 2008
Vieni a prendere il caffè!! REPORT prima edizione
di seguito si pubblica un report sull'esito del primo incontro.
il giorno 14 maggio ore 14,00
A Piacenza presso la Casa San Giuseppe
11 presenti in rappresentanza di diverse strutture di erogazione servizi (Pubbliche, private, e cooperative, nonchè centri di formazione).
L’incontro si è aperto con una presentazione dell’associazione e con una relazione introduttiva sul tema dell’accreditamento in base alle normative della Regione Emilia Romagna.
Gli interventi che si sono susseguiti hanno riguardato i seguenti punti:
- Le strutture continuano ad avere una funzione nell’informazione sui servizi perchè l’utenza spesso non è informata circa le modalità di accesso.
- ci si è domandato se non sia il caso di abbandonare il sistema di rette all-inclusive e stabilire una retta-base con accessori a pagamento per una maggior equità a fronte, però, di un aggravio amministrativo.
- Difficile prevedere un accreditamento che rende “tutti uguali” e tutti assoggettati allo stesso regime tariffario.
- Nel caso di affidamento esterno di un servizio da parte di una futura ASP come si addiviene alla selezione del fornitore in caso di presenza di più ditte accreditate? Comunque si sviluppino le ASP è necessario che acquisiscano una concreta capacità di effettuare efficaci controlli delle prestazioni.
- Sarebbe interessante sul tema avere una giornata di studio con un dirigente regionale.
- Sembra che l’accreditamento, così come delineato dalla Region,e non tenga in debito conto della estrema variabilità delle caratteristiche dell’utenza, per questo definisce un regime di monotariffa.
- Tra i difetti della monotariffa c’è il fatto che non tiene conto dell’estrema variabilità da un caso all’altro della situazione di manutenzione della struttura che in qualche caso è nuova o recente e non richiede investimenti e in altri è inagibile se non si interviene. Ciò comporta una difficoltà nei costi.
- Le commissioni di valutazione devono essere opportunamente formate per essere in grado di gestire correttamente e in modo efficace i nuovi compiti imposti dall’accreditamento.
- Ampio dibattito poi si è fatto sulla possibilità di scelta per l’utenza. Si è unanimemente rilevato che allo stato attuale e con il modello di accreditamento che si profila legislativamente, una reale libertà di scelta non ci sarà. La concorrenza tra enti è impensabile finché l’accreditamento sarà proposto in numero uguale alla stima del fabbisogno. Finché non ci sarà l’offerta che supera la domanda non ci può essere l’innesco del processo virtuoso di miglioramento per emulazione e per evitare l’emorragia di utenza.
- Sui problemi di organizzazione si è posto l’accento sulla revisione del profilo della RAA meglio definita come Responsabile di Nucleo. A tale scopo si è vista l’esigenza di un confronto tra le RAA e tra loro e gli altri professionisti con cui devono fare integrazione.
- È stato approfondito l’annoso problema della condivisione del modello organizzativo tra professionalità diverse. Il coordinatore deva dare cultura e più che comandare deve condividere
- Alla fine viene ipotizzato un ciclo di incontri su questo tema da estendere al maggior numero di RAA e altri operatori tra cui IP, medici, Fisioterapisti, educatori professionali e altri. Così si potrebbe dare un contributo originale alla Provincia impegnata nella definizione del processo formativo dei responsabili intermedi (RAA o responsabili di nucleo).
- Da ultimo sul problema dei costi si è rilevato che l’ossigenoterapia non è assoggettata allo stesso regime da parte dell’ASL e rispetto ai vari enti. Quasi tutti devo pagarla con risorse proprie mentre alcuni hanno concordato una modalità di rimborso. È un problema da rendere noto e su cui chiedere estensione a tutti della procedura di rimborso.
- Si è convenuto infine di riproporre per il giorno 29 maggio, giovedì, nello stesso luogo e alle ore 15 un incontro sul tema dell’integrazione professionale con particolare riguardo alla figura del Responsabile di nucleo in rapporto agli altri professionisti.
Grazie!