sabato 26 luglio 2008

Accreditamento. Progetto impegnativo per le Regioni (di Renato Dapero)


In corso di Pubblicazione sulla rivista




AFFRONTANDO IL TEMA COMPLESSO DELL’ACCREDITAMENTO ISTITUZIONALE DELLE STRUTTURE E DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI È FACILE SCONFINARE IN SCELTE IDEOLOGICHE, MA, SE È GIUSTO CHE LE REGIONI SIANO COERENTI CON LA PROPRIA VISION, È ALTRESÌ INDISPENSABILE CHE DIANO VITA A UNO STRUMENTO DI EQUITÀ E PROGRESSO EVITANDO UNO SPROPORZIONATO AUMENTO DEL RAPPORTO COSTI/BENEFICI. PROPOSTE INTERESSANTI IN UN DOCUMENTO DI STUDIO DELLA REGIONE EMILIA-ROMAGNA.

C’è una sostanziale debolezza dell’attuale modello di gestione dei servizi dovuta a diverse cause di crisi tra cui la gestione ancora invischiata in uno stile più burocratico che manageriale. In un tale contesto le regioni si avviano a stabilire le norme per l’accreditamento istituzionale dei servizi sociosanitari. È una buona occasione per ricuperare in parte il deficit di credibilità della politica da parte dei cittadini: facendo un buon accreditamento si dimostra la capacità di creare strumenti di regolazione efficaci basati sull’azione degli enti pubblici. Ciò che si teme è che i sistemi di regolazione pubblica, per allontanare il pericolo di affidarsi al libero mercato, tendano a sviluppare una gestione centralizzata col rischio di creare situazioni di monopolio scarsamente efficiente e di ridurre il ruolo dell’utenza. Il libero mercato non è gradito perché è portatore di una concezione orientata al profitto e non appare sempre coerente col principio di prevalenza del bene comune, ma, sembra di capire, viene tenuto lontano anche e soprattutto perché regolato da meccanismi che escludono il controllo diretto della politica. Non si può dimenticare però che, come fattore di qualità, nel mercato c’è la concorrenza che non dovremmo escludere mai da nessun settore produttivo.

Si tratta di trovare una via che salvi quanto di utile e buono c’è nel mercato e quanto nei sistemi di regolazione pubblica. Nel mercato, come si è detto, c’è un sistema basato sulla competizione tra più fornitori e poiché quello dell’assistenza è un mercato, sia pur con certe peculiarità, in un modo o nell’altro dobbiamo mantenervi la concorrenza. Allo Stato o in generale all’ente pubblico è lasciato il compito di programmare la tipologia di prodotto/servizio e la quantità da offrire. Sempre al pubblico, nella fattispecie al comune, viene dato il compito di accreditare cioè di stabilire, chi, non solo possiede i requisiti per procedere all’offerta del servizio, fatto sancito nell’autorizzazione, ma che possiede requisiti migliori e tali da soddisfare in modo ottimale i bisogni. Ciò consente che l’ente venga accreditato cioè reso titolare del diritto di partecipare all’offerta del servizio con contributo pubblico.

È necessario che l’accreditamento imponga requisiti che si differenzino nettamente da quelli dell’autorizzazione, possibilmente ponendo l’accento sulle qualità professionali, per due ragioni fondamentali. In primis perché la più importante qualità percepibile dall’utenza è quella derivante da un miglior apporto di contenuti relazionali nel lavoro di cura e poi perché i fattori di qualità strutturali sono già contenuti nell’autorizzazione e non ha senso proporne l’incremento ai fini dell’accreditamento in quanto altro non si otterrebbe che un aumento più che proporzionale dei costi rispetto al beneficio che si perseguirebbe. L’accreditamento, a ben vedere, deve assicurare un incremento percepibile dell’efficacia dell’azione assistenziale. Non interessa in questo senso un ampliamento delle caratteristiche logistiche posto che per l’autorizzazione già sono richiesti standard coerenti con i livelli socialmente oggi ritenuti buoni, ma l’individuazione di nuovi standard riguardanti la qualità del lavoro degli operatori in termini più pregnanti e sottili. È chiaro che risulta più difficile operare su questo terreno, ma le competenze alle istituzioni non mancano e se non si vuole andare incontro a un fallimento bisogna operare secondo questa linea. Il fallimento temuto è che le risorse economiche non bastino a sostenere gli obiettivi di qualità proposti da formule di accreditamento che tendano a far pressione sui produttori provocando ulteriori costi per la struttura o per il numero di personale. Gli unici costi che sarà inevitabile inserire sono per la formazione in quanto il personale va formato a nuovo sfide e preparato a sostenere nuove modalità di espressione del proprio lavoro. Non si può immaginare che ciò nasca dal nulla; può nascere solo da una chiara presa di coscienza da parte dei decisori politici, da una consapevolezza dei quadri dirigenti delle aziende di servizi alla persona e da una condivisione opportunamente definita con tutti gli operatori. Solo così, avendo in mente tutti la stessa strada e gli stessi obiettivi sarà possibile ottenere risultati apprezzabili. L’accreditamento quindi è una grande occasione che non va sprecata, non deve essere percepito, ai vari livelli, come un appesantimento delle condizioni generali di lavoro o un aggravio di spesa, perché questo porterebbe ad una rinnovata condizione di sfiducia.
Dunque tra tutti i fornitori dotati di autorizzazione al funzionamento, cioè in possesso dei requisiti richiesti quanto a struttura logistica e composizione organizzativa, il comune deve individuare gli enti e i servizi da accreditare che devono offrire un determinato livello minimo di altri requisiti di natura del tutto diversa. E accrediterà tutti i fornitori che presentano quei requisiti minimi per tutti i posti che offrono, non per precostituire un diritto ad occuparli con contributo pubblico, ma perché tale diritto esista in potenza e si concretizzi in conseguenza delle scelte operate dall’utenza. Il comune accredita tutti i posti accreditabili, poi lascia la libertà di scelta all’utente fino a concorrenza dei posti che possono essere oggetto di contratto tra l’ente pubblico e i diversi fornitori accreditati e presenti sul territorio. Questi sono i punti fermi di una teoria che si basa su un mix di elementi che valorizzano sia i principi regolatori del mercato sia quelli del sistema programmatorio pubblico. Escludere alcuno di questi principi significa non imboccare la via che attraverso selezioni virtuose porta ad ottenere la più alta qualità del servizio.
Non si vede come sia possibile non accogliere un tale approccio qualunque concezione politica si abbia, perché da un lato non si può lasciare al libero mercato l’onere di aggiustare domanda e offerta e dall’altro non ci si può illudere che la programmazione pubblica sia un metodo di assoluta affidabilità e di definitiva e provata adeguatezza rispetto al problema di mantenere alta la tensione al miglioramento in un contesto turbolento e di contrazione delle risorse.
Non v’è giorno che non si leggano pessime analisi economiche e preoccupate dichiarazioni sulle agenzie di stampa. È di questi tempi la polemica sulle risorse dello Stato previste nel piano della salute che sarebbero fortemente diminuite nella manovra finanziaria. Tali risorse sarebbero praticamente dimezzate con conseguenze gravissime sui bilanci delle regioni che per bocca dei Governatori mostrano la massima preoccupazione per i temuti tagli. Ma non è la sola sanità a piangere, altre categorie insorgono, ad esempio recentemente c’è stata una presa di posizione del sindacato di polizia che lamenta un atteggiamento incomprensibile nel prevedere un maggior impegno nella sicurezza accompagnato da tagli nelle risorse messe a disposizione delle forze dell’ordine. Questi ed altri esempi che si potrebbero fare possono anche creare polemica politica, ma in questa sede non interessa farlo e vengono presentati come chiave di lettura del problema verso cui stiamo muovendo. Tutto sembra dire: “la festa è finita: ragazzi, non c’è una lira!!”

Tenendo conto che “le risorse sono finite” si continua l’approfondimento sul tema dell’accreditamento riferendoci al lavoro di produzione normativa attualmente in corso in Emilia-Romagna.
Da una rapida lettura delle prime norme regionali si è temuto che l’accreditamento venisse definito mediante controlli sul possesso di requisiti logistici, strumentali e organizzativi essendo assenti o presenti in modo non chiaro altri elementi determinanti per la qualità. Come si è ricordato la Regione Emilia Romagna con una delibera della giunta del 2007 ha individuato i servizi per i quali l’accreditamento è previsto e le linee guida del relativo processo. Successivamente, con atto del Consiglio ha introdotto un accreditamento transitorio riferito ai gestori delle strutture e dei servizi che siano autorizzati e che già intrattengo rapporti con il Ssr. Questa decisione nasconde un’ombra gattopardesca che sarebbe bello eliminare: non fingiamo di cambiare per lasciare tutto come prima o peggio di prima! A fronte di un obiettivo dichiarato di assicurare qualità e miglioramento agli utenti si decide di continuare con chi ha già collaborato in passato. Forse per un breve periodo come soluzione transitoria può anche essere adottata, ma dovrebbe essere adottata di fatto, non sancita da una norma, che inevitabilmente crea precedente, e anche attese e legittime aspettative da parte dei fornitori. Non si dica che è dichiarato che è transitorio e quindi nessuno si può illudere! Non si dica, perché è noto che i provvedimenti transitori hanno una grande probabilità di durare a lungo: perché studiare e mandare avanti il provvedimento definitivo che crea antagonismi e ripercussioni politiche negative? “Tanto i servizi sono garantiti.. c’è l’accreditamento provvisorio.. ma ci sono i contratti di servizio, se non fanno quello che devono fare glieli revochiamo..” ma quando, quando mai! Si torna a temere che tra gli intenti non dichiarati ci sia quello di sostenere le ASP, di difenderle da un’endemica debolezza che difficilmente le farà decollare perché non solo non hanno lasciato zavorra al suolo ma ne hanno imbarcata anche di più di quanta ce ne fosse prima e sicuramente di quanta ce ne fosse bisogno!
Ora la ricetta che si propone è quella che l’accreditamento sia possibile per tutti i posti che hanno i requisiti previsti senza limitazioni di sorta, neanche quella relativa alle necessità programmate dagli enti locali, che l’accreditamento provvisorio sia una situazione di fatto non formalizzata e che gli elementi determinanti dei requisiti siano relativi alla qualità intrinseca del servizio erogato con particolare riferimento alla professionalità degli operatori intesa come espressione di una capacità, ai vari livelli, di prendersi cura e di esprimere un elevato profilo relazionale.

Prendendo spunto da un documento messo in circolazione dalla Regione Emilia Romagna intitolato “proposta requisiti di accreditamento definitivo – giugno 2008” vediamo se e in che misura in questa regione si è impostato un provvedimento tale da rispettare gli obiettivi dichiarati sopra.
Il documento dichiara di avere queste finalità:
sviluppare la qualità tenendo conto della natura relazionale dei servizi,
stabilizzare il sistema di relazioni con i produttori aumentandone il grado di responsabilizzazione
connettere l’accreditamento con il processo di programmazione distrettuale.

La scelta metodologica che viene fatta nel documento è quella di individuare dieci aree di qualità e gli obiettivi dei requisiti afferenti ad ogni area anche in relazione ai risultati attesi dagli utilizzatori. Gli estensori del documento hanno previsto requisiti validi per tutte le categorie ed altri specifici per le singole tipologie e hanno indicato l’opportunità che anche per l’autorizzazione sia fatta la stessa scelta delle dieci aree così che sia possibile riconsiderare per intero il problema definendo i due livelli di regolazione in base ad un ambito prevalente e precisamente:
AUTORIZZAZIONE > aspetti strutturali ed elementi organizzativi minimi
ACCREDITAMENTO > processi e qualità gestionale - organizzativa
L’orientamento dichiarato è quello di lasciare inalterati, rispetto alla normativa vigente, gli aspetti strutturali per l’autorizzazione integrando gli organizzativi in coerenza con quelli dell’accreditamento.

Sembra che un po’ di innovazione sia stata introdotta! Particolarmente apprezzabile la distinzione tra requisiti strutturali/logistici, elementi prevalenti per l’autorizzazione, e requisiti relativi ai processi e alla qualità gestionale/organizzativa nel sua complesso. Questa scelta assicura un accreditamento con caratteristiche distintive chiare rispetto all’autorizzazione e ciò risulta rafforzato dall’obiettivo di sviluppare la qualità tenendo conto della natura relazionale dei servizi cioè dal punto di vista della persona.
Opportuna la prevista connessione dell’accreditamento con i processi di programmazione locale e interessante l’assenza di un limite quantitativo che consentirebbe l’accreditamento di tutti gli accreditabili e non limitatamente al fabbisogno programmato.
Quest’ultimo argomento non è però possibile assumerlo come dato positivo certo perché il documento ne parla in modo generale e non si possono escludere interpretazioni diverse, soprattutto se lo si mette in relazione al dichiarato obiettivo di stabilizzare il sistema di relazioni coi produttori e aumentare il loro grado di responsabilizzazione. È un punto che potrebbe nascondere qualche problema. Così come enunciato va bene, a nessuno sfugge l’utilità di un rapporto integrato tra i produttori e i pianificatori dei servizi purché non sconfini in una sorta di chiusura resa ancor più forte dall’obbiettivo di ridurre la frammentazione. Obiettivo giusto per ottenere aziende più forti e in grado di affrontare il futuro con una maggior solidità economico-organizzativa, ma sbagliato se per ottenere la riduzione di frammentazione si finisse per concentrare le aziende esistenti in pochi monopoli.
Sarà interessante seguire l’evoluzione della proposta.

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