Si prende spunto da un articolo di Andrea Tardiola, collaboratore della rivista indipendente on line www.lavoce.info di cui si è riproposto il titolo.
L’occasione (Gennaio 2008) era data da un disegno di legge col quale il Governo si proponeva di porre un freno all’ingerenza della politica nella nomina dei direttori e dei primari nelle Aziende Sanitarie provocando reazioni dure delle Regioni che rivendicavano l’autonomia sancita dalla riforma costituzionale del 2001. Effettivamente le Regioni non possono rinunciare a presidiare politicamente la sanità in quanto è il servizio nel quale esse spendono circa il 70 % del loro budget. Da questo concludono che i direttori devono essere scelti con uno stretto rapporto fiduciario. Nella proposta del Governo si riconosce questo, però si chiede che le nomine devono essere fatte solo tra chi è tecnicamente preparato.
Non si può non ricordare che esistono mille possibilità di addomesticare i meccanismi di selezione e anche di inventarne di nuovi che, pur nel rispetto formale della strategia di selezione su base tecnica, consentono e promuovono in realtà la più ampia discrezionalità politica!
Dunque né le Regioni né il Governo avevano allora e non hanno adesso alcuna volontà di abbandonare l’idea del controllo diretto dell’attività gestionale della sanità. Spesso si assiste a dibattiti surreali nel senso che non incidono affatto sulla realtà e si limitano a definire dei percorsi formali che di solito peggiorano, se fosse possibile, la situazione.
Per quanto ci possa sembrare incredibile ancor oggi nelle posizioni elevate della politica (e quindi in quelle posizioni che influiscono pesantemente nella cultura dei servizi) si arriva, si può dire, ad umiliare il concetto di “Politica della Salute” limitandosi ad identificarlo con la “gestione dell’apparato” preposto alla gestione dei servizi per la salute. C’è, come qualcuno ha detto nei commenti all’articolo citato, una situazione di lottizzazione strutturale che si riproduce e attraversa tutti i campi della politica da destra a sinistra e in ogni parte d’Italia.
Una conclusione.
È ovvio che la politica non può disinteressarsi della salute, e questo non solo perché è un costo elevato per lo Stato e in alcune zone è anche un fondamentale produttore di reddito, ma soprattutto perché la salute e, più in generale, il benessere dei cittadini è un dovere fondamentale di chi ci governa ai vari livelli.
Quello che è mancato fin’ora, però, è una vera capacità di programmazione e controllo, anch’essa sempre citata o millantata ma per la quale non è mai stata fatta una seria pratica formazione, indispensabile, a partire dai politici. Non se ne è vista la necessità perché non serve a perpetuare “la Casta”. Un’attività di controllo sugli apparati produttivi imporrebbe una nuova comunicazione ai cittadini dove ognuno si dovrebbe prendere le responsabilità del caso e i politici dovrebbero mettere in gioco la loro rielezione sulla base dei successi o degli insuccessi della gestioni degli apparati da loro scelti.
Vedremo mai una cosa del genere?
Speriamo di poter andare a votare, un giorno, non spinti da suggestioni o immersi nel “sonno televisivo” ma in base ai risultati documentati sulla qualità di vita che i governanti ci hanno garantito.
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