Il ministro Sacconi, ospite al meeting di Rimini, ha rilasciato un’intervista su diversi temi che riguardano il futuro del welfare italiano.
La prima domanda pone attenzione al fatto che il ministro nei suoi interventi, ha invocato, contro la crisi, non solo provvedimenti ma anche valori e nella risposta il ministro fa cenno a due fattori problematici. Il primo è l’indebitamento degli stati che comporta una maggior difficoltà di crescita, il secondo è il trend demografico definito in declino. Dunque il rilievo è che nelle società in cui la popolazione è in declino a livello numerico bisogna valorizzare il capitale umano. Se l’uomo è una risorsa scarsa bisogna assicurarle forme di incentivazione e protezione quindi bisogna riscoprire il valor e il rispetto della vita oggi sostituito da una visione scettica della realtà.
In sostanza il ministro riprende e sintetizza il principio espresso nella prefazione del “Libro bianco” sul welfare di recente pubblicazione ove si afferma che “Il primo valore che ci deve guidare in questa sfida è la centralità della persona, in sé e nelle sue proiezioni relazionali: la famiglia quale luogo delle relazioni affettive, il lavoro, quale espressione di progetto di vita, la comunità e il territorio, quali ambiti di relazioni sociali. L’attuale modello di welfare deve essere superato a favore di un nuovo metodo che non appaia più semplicemente risarcitorio, ma punti sulle opportunità e responsabilità intervenendo in anticipo rispetto al formarsi del bisogno e che sia stimolo di comportamenti e stili di vita responsabili. Si delinea un modello sociale che non viene realizzato soltanto attraverso funzioni pubbliche, ma anche riconoscendo, in ossequio al principio di sussidiarietà, il valore della famiglia, dell’impresa, profit e non, e di tutti i corpi intermedi che concorrono a formare la comunità. Si afferma così il principio della “vita buona” cioè attiva con valorizzazione del lavoro che non deve essere visto come una maledizione o un’attesa delusa, ma costituisca la base dell’autonomia sociale.
Questa visione vuole essere la risposta a ogni forma di egoismo corporativo e alle ricorrenti propensioni a favorire il declino della società da parte di coloro che – viziati da culture nichiliste – sembrano avere smarrito il senso stesso della vita.
Dunque il ministro – massima espressione della saggezza istituzionale - respinge le filosofie nichiliste che hanno portato a una deriva dei valori e afferma che per rimettere al centro l’uomo bisogna puntare sul lavoro per assicurare autonomia sociale quale elemento centrale del nuovo welfare che si realizza non solo,o per nulla forse, attraverso le funzioni dello Stato, ma applicando ogni grado di sussidiarietà.
Sono parole che hanno un che di semplice e condivisibile ma sono anche parole difficili.
Se restiamo in superficie possiamo più facilmente condividerne l’impostazione: c’è una caduta dei valori in una situazione di diminuzione numerica, quindi dobbiamo riprenderci, valorizzare al massimo il capitale umano. Questo non si può fare in altro modo che affermando valori, mettendo in primo piano il lavoro, elemento fondante della nostra costituzione e determinante per produrre indipendenza dell’uomo e ricchezza della nazione.
Il welfare quindi come “prodotto” non semplicemente dello Stato ma di un’azione multidimensionale e concentrica che mette l’uomo al centro sia come destinatario sia come produttore.
Se si analizza un po’ più a fondo si vedono elementi ideologici e tattica di breve periodo.
Non è del tutto convincente l’affermazione che alla base del nuovo welfare ci vuole la centralità della persona come singolo e nelle formazioni sociali quali la famiglia e gli altri luoghi di relazione. L’affermazione in astratto si limita a ripetere un principio della costituzione, ma legata al problema di garantire benessere sociale assume il tono un po’ meno nobile dell’invito al “fai da te”. Non ci sarebbe niente di male nel decidere che il benessere ciascuno se lo deve costruire da sé, se non apparissecome un semplice espediente tattico di breve respiro dal momento che non lo si accompagna ad interventi di promozione dell’immagine dell’uomo come lavoratore e come padre fondatore o rifondatore di una civiltà.
Si rende conto il ministro che non stiamo vivendo semplicemente l’era della cultura post-moderna, probabilmente a lui sgradita per la connotazione di eccessivo relativismo, ma addirittura stiamo attraversando un momento di recessione culturale e l’immagine dell’uomo sancita dai media è quella semplice e patetica del consumatore oppure mitica e vuota dell'interprete dei programmi di una sempre più invasiva trash tivù?
La televisione, amata o criticata, è la base di ogni nostra informazione e quindi inquieta madre del nostro pensiero e portatrice di ogni nuovo progetto, quindi è lo strumento per convincere, per curare, per sviluppare le personalità.
Per questa ragione ogni governo fa uso di questo mezzo e quello italiano ne rappresenta forse la massima espressione, quindi non diteci che siamo al centro della responsabilità di un nuovo shelf made welfare basato sul lavoro e sulla ricostruzione dei valori se poi governate la sviluppo del pensiero del popolo attraverso una televisione che non ha solo una linea di programmi trash ma che ha contaminato con questa cultura (trash= spazzatura, quindi scarto inutile) tutta la comunicazione oltre che lo spettacolo. Ciò è preoccupante a meno che non si aderisca alla teoria che qualcuno (Tommaso Labranca) è arrivato a produrre individuando il trash come categoria estetica che si identifica attraverso una formula matematica con lo “scarto” tra l’Intenzione (Emulazione di un modello alto) e il Risultato raggiunto. Ne ha colto lati sconosciuti sia alla gente comune sia ai critici ed è giunto a teorizzare interessanti aspetti del trash, ma è rimasto un interessante esercizio intellettuale che non si è diffuso neanche tra gli addetti ai lavori. Il trash rimane per tutti l'evoluzione in negativo della televisione generalista che tutto banalizza e che tutti giustifica convolgendoli in una sorta di comunità del peccato.
In conclusione se la cultura diffusamente riconoscibile nella popolazione italiana è condizionata, se non del tutto determinata, dall’espressione trash della tivù generalista è chiaro che invitarci ad assumere le responsabilità relative all’autocostruzione del welfare, o quanto meno ad un’ampia partecipazione a tale impresa, assume il tono di una vera e propria beffa. Ti ho preparato per tempo a lasciarti guidare in tutte le tue scelte costruendo con cura la tua disaffezione alla politica intesa come amore per la propria civiltà, poi, siccome le risorse sono scarse rispetto ai buchi da coprire e alle attese diverse delle categorie produttive, allora affermo che il benessere parte dalla centralità dell’uomo – bene – parte dall’autodeterminazione – bene – parte dalla tua capacità di intervenire con fierezza sugli elementi fondamentali della vita a partire dal lavoro - bene -.
Bene! Si potrebbe essere d’accordo se contemporaneamente venisse varata una politica di alto profilo etico e venisse perseguito con rigore e coerenza un intervento ad ampio raggio sulla cultura, utilizzando la scuola, che prima di tutto dovrebbe essere maestra di pensiero libero e non viziata da schemi ideologici, e poi i media che dovrebbero dichiarare conclusa la battaglia in corso a difesa di questo o di quel politico e sempre a sostegno, in definitiva, di una politica non semplicemente debole ma troppo spesso personalistica e di puro interesse al profitto.
Per i riferimenti all'intervista del ministro Sacconi, al libro bianco sul welfare e alla teoria dell'estetica trash vedi colonna a fianco.
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